È decisamente un gran periodo per tutti quelli che amano perdersi all’interno dei mondi paralleli offerti dagli MMO: Final Fantasy XIV va a gonfie vele (ne abbiamo parlato qua), Wildstar è in rampa di lancio e The Elder Scrolls Online ha debuttato da qualche settimana. Ed è proprio quest’ultimo il protagonista della recensione che state per leggere, anche se il voto che vedete qui sopra non è dei più incoraggianti. Ma non temete, ci sarà tempo per parlarne.
Sviluppato da ZeniMax Online (e non Bethesda) Elder Scrolls Online è la prima escursione del brand sugli spinosi lidi del genere MMO uno dei campi di battaglia potenzialmente più remunerativi ma al contempo più rischiosi. Qua è doveroso aprire una parentesi sulla questione: i MMO theme park (come possono essere Final Fantasy XI e XIV o lo stesso World of Warcraft) sono di particolare appeal quando offrono esperienze diverse da quelle dei giochi di origine, e perdono di efficacia quando il tipo di gameplay è simile al gioco di appartenenza. Il MMORPG ZeniMax rientra purtroppo in questa seconda categoria visto che già i vari Skyrim ed Oblivion sono considerati dei MMO offline. Quando il peccato originale di un gioco è così grave risulta poi difficile riuscire a smarcarsene in maniera convincente, e nonostante i suoi timidi tentativi Elder Scrolls Online non riesce mai a scrollarsi di dosso questa ingombrante ombra.
Ma andiamo con ordine, e nello specifico iniziamo con le cose che questo titolo fa davvero bene, ovvero offrire la possibilità di avere un avatar realmente personalizzabile che rispecchi i gusti e lo stile di gioco del giocatore. Le classi selezionabili sono si solo 4 (Dragonknight, Nightblade, Sorcerer e Templar), ma nonostante questo il gioco permette una personalizzazione amplissima, così ampia che anzi si rivela addirittura controproducente, ma su questo arriveremo più avanti.
Il primo passo nella Tamriel di Elder Scrolls Online è quello della selezione della fazione di appartenenza: tutti gli abitanti del continente sono infatti affiliati con una tra le alleanze chiamate Daggerfall Covenant, Ebonheart Pack e Aldmeri Dominion. La prima riunisce le razze di Bretoni, Redguard e Orc, la seconda Uomini del Nord, Dark Elf e Argonian e infine la terza è formata da High Elf, Wood Elf e Khajiit. La scelta della fazione è quindi strettamente legata alla razza selezionata in fase di creazione del personaggio, a meno che non abbiate acquistato l’Imperial Edition, particolare edizione che permette di poter scegliere liberamente senza questi limiti.
Nonostante sia un MMO l’importanza della trama è evidente sin dai primissimi momenti, forse perché i momenti migliori di gioco si hanno proprio durante le lunghe quest (interamente doppiate) legate alla storia, che ricordano molto di più la controparte offline piuttosto che un gioco di ruolo online. In un’epoca temporalmente collocata circa mille anni prima gli eventi di Skyrim, i giocatori dovranno porre argine all’inarrestabile avanzata di Molag Bal, che con il suo esercito di creature non proprio raccomandabili sta provando a fondere insieme i reami di Nirn e Oblivion, desideroso di regnare sull’unico piano di esistenza che si verrebbe a creare. Nonostante le differenze e le distanze tra le tre diverse fazioni queste sono costrette a far fronte comune a cotanto pericolo, senza però rinunciare a covare dell’odio reciproco.
Creato il proprio personaggio e scelta una delle quattro classi si può finalmente muovere i primi passi a Tamriel, non prima però di aver terminato una starting area che funge da tutorial (comune a tutti, senza distinzione di professione o alleanza) nella quale l’unica decisione di un certo peso da prendere è quella relativa all’arma da raccogliere, che ci accompagnerà in tutti i primi livelli. La scelta della classe a cui facevo riferimento è limitata alle quattro già citate, che rappresentano un po’ il punto d’unione tra il lore storico della serie Bethesda e i ruoli classici di un MMO basato sul trittico tank/DPS/healer.
In linea di massima il Dragonknight è la classe più propensa a svolgere il ruolo di tank, il Nightblade quello di DPS, il Sorcerer di DPS magico e infine il Templar è quello più portato alle operazioni di healing e crowd control. Senza entrare eccessivamente nello specifico delle abilità vi basti sapere che ognuna di queste classi ha tre rami di abilità esclusivi, accessibili solo selezionando appunto quella classe. Facciamo l’esempio del Templar: se si sviluppa il ramo Restoring Light si trasforma il proprio personaggio in un healer puro, mentre spendendo i propri punti abilità (che si guadagnano utilizzando le diverse armi, compiendo specifiche azioni o anche solo indossando armature) nelle abilità del ramo Aedric Spear si può avere accesso ad utili abilità di crowd control, perfette per gestire numerosi gruppi di nemici mentre il resto del party si interessa magari a combattere il boss di zona. Se invece volete essere a tutti i costi un Templar ma i due indirizzi menzionati non soddisfano il vostro stile di gioco potrete sempre buttarvi sulle abilità garantite Dawn’s Wrath, che hanno una spiccata propensione verso il DPS più puro.
Non fatevi però ingannare da una divisione d classi e abilità che può sembrare netta o classica: in Elder Scrolls Online, fatta eccezione per i tre rami di abilità specifici, potrete imparare tutte le altre abilità presenti, che sono legate all’utilizzo delle armi o degli equipaggiamenti. Non esistono infatti limitazioni di sorta relative al vestiario dei personaggi, e nulla vieta quindi ad un mago di brandire un colossale spadone a due mani o ad un nerboruto guerriero di vestire solo con tuniche. È questa la grande forza del gioco, che esattamente come nelle sue versioni online permette al giocatore di plasmare il proprio personaggio come meglio crede, dando vita ad avatar sensibilmente diversi tra loro e pronti ad affrontare qualsiasi situazione.
Il lato negativo di questa scelta però è che tende ad indirizzare gli avventurieri di Tamriel verso un’esperienza più single player che cooperativa, visto poi che le quest non fanno nulla per favorire il gioco di gruppo. Oltretutto, lasciando così tanta libertà ai giocatori si perdono le specializzazioni proprie di ogni classe, rendendo, anche ad alti i livelli, difficile trovare qualcuno in grado di fare una sola cosa ma farla realmente bene. Se bloccare un avatar su uno specifico ruolo è da un lato limitante è dall’altro l’unica garanzia che in un dungeon di alto livello sappia garantire, ad esempio, il giusto output di DPS, piuttosto che un adeguato livello difesa. Si torna quindi al peccato originale di questo gioco: è troppo simile ad un GDR offline, problema non da poco per un titolo appartenente ad un genere che fa del gioco in compagnia il suo fulcro inamovibile.
Anche il sistema di combattimento è direttamente mutuato da Skyrim, e propone un approccio più action e meno skill based. Anziché fondarsi infatti sui tempi di cooldown delle diverse abilità qua il fulcro di tutte le azioni sono i propri livelli di Stamina e Magicka, che rappresentano in soldoni la quantità di abilità fisiche o magiche che possiamo eseguire. La visuale è lockata sul movimento del mouse (come negli FPS), mentre il tasto sinistro corrisponde all’attacco base dell’arma equipaggiata. Con il tasto destro si esegue invece una parata, mentre il click contemporaneo su entrambi i tasti permette di eseguire un attacco che, se fatto con il giusto tempismo (ovvero quando il nemico sta eseguendo una mossa speciale), può bloccare l’azione nemica e causare uno stan di qualche secondo. A supportare queste due azioni base c’è poi un’essenziale hotbar che può ospitare fino a sei abilità (cinque più uno in realtà), rendendo difficile e parecchio tattica anche la scelta di suddette abilità, le uniche che si possono usare durante i combattimenti.
Esattamente come nella sua controparte offline questo sistema dà il meglio di se quando si gioca da soli, mentre mostra la corda nelle istante di gruppo: non essendoci infatti lock-on sui nemici spesso si rischia di dare colpi a vuoto, e si ha sempre la non piacevole sensazione di non essere mai in controllo degli scontri, sensazione che andrà accentuandosi nel caso decideste di giocare in prima persona. Avere poi solo sei abilità è abbastanza limitante, anche se il gioco è molto giovane e non essendoci di fatto ancora contenuti end game questa limitazione non si sente ancora così tanto (il sottotesto è: meglio che ZeniMax ci metta una pezza).
Il titolo si discosta molto dai suo competitor anche per l’impostazione della progressione del personaggio: portare il proprio avatar al livello 50, l’attuale cap, è un’operazione più lenta rispetto alla media del genere, e nonostante questo non sia in linea di principio un problema, lo diventa nel momento in cui si fa fatica ad expare. Il grinding infatti non è ancora così produttivo come in altri giochi, e affidarsi alle quest potrebbe portarvi via parecchio tempo visto che queste sono sparse per i vari punti di interesse di Tamriel, e starà a voi cercarle di volta in volta. Non ci sono infatti zone prefissate nelle quali stare fino al raggiungimento di un determinato livello, ma solo uno sterminato mondo da esplorare nel quale trovarsi in prima persona le cosa da fare e da vedere, senza troppi aiuti esterni.
Pur ritenendo forse questa impostazione non troppo adatta al genere non ci sentiamo di bollarla come errata, e questo perché ha l’indubbio merito di immergere il giocatore in un mondo vergine che sta a lui scoprire, nel quale il suo percorso di crescita è libero e senza paletti. Tra quest pubbliche, dungeon aperti o istanziati le cose da fare non mancano, anche se un’indirizzamento migliore, fosse anche solo opzionale, non sarebbe guastato.
Uno dei punti forti del gioco, verosimilmente quello che ne decreterà l’effettivo successo o fallimento, è il PvP. Raggiunto il livello 10 sarà possibile in qualsiasi momento, tramite apposito menù, selezionare una delle tante campagne disponibili, e farsi teletrasportare in un secondo a Cyrodiil, l’area dedicata appunto al PvP. Questa regione (che è quella nella quale è ambientato Oblivion) è comune a tutte e tre le fazioni, che se la contenderanno a suon di assedi e battaglie campali. Le aree della regione hanno alcuni punti di interesse specifici, come fortini, fattorie o villaggi, la cui conquista garantisce risorse. Raggiunto un determinato numero di risorse si può partecipare ad un epica battaglia che dà la possibilità di diventare nientemeno che Imperatore di Tamriel, titolo che garantisce anche alcuni boost alle statistiche. Le campagne sono pensate per durare qualche mese, e sono caratterizzate da scontri da centinaia di giocatori in contemporanea, anche se non è sempre semplice riuscire a trovare la campagna giusta alla quale partecipare. Seppur non abbia ancora mostrato appieno tutte le sue potenzialità il PvP si è dimostrato solido e divertente, nonché l’unica forma di end game, visto che i Rank Veteran non sono altro che la riproposizione delle quest delle altre fazioni e non rappresentano uno stimolo sufficiente ad essere affrontati.
Dal punto di vista tecnico il gioco vive di alti e bassi che in tutta onestà non ci saremmo mai aspettati. Dal lato dei pro c’è un motore grafico versatile in grado di gestire aree molto ampie con parecchi personaggi in contemporanea, ambientazioni evocative (ma qua il merito è della serie madre) e un’infrastruttura lato server davvero intelligente. Anziché i classici server regionali indipendenti, esiste un solo gigantesco server che contiene tutti i giocatori. Questi sono però automaticamente divisi in diversi piani paralleli in modo che la popolazione rimanga sempre stabile. Questi piani sono però comunicanti tra loro, il che permette di poter ad esempio raggiungere sempre un proprio amico senza dover spendere dei soldi per fare il trasferimento da un server all’altro, operazione obbligatoria in quasi tutti i MMORPG concorrenti.
Tra i contro però non si può non segnalare una generale arretratezza di questa infrastruttura, con modelli poligonali vecchi e poco dettagliati, animazioni poco convincenti e un’impressione generale che ci si trovi davanti un titolo nato vecchio (l’inizio dei lavori è datato infatti 2007) che non può minimamente competere con l’opulenza visiva di A Realm Reborn o del futuro Wildstar.
Conclusioni
Elder Scrolls Online è un gioco difficile da inquadrare, che paga l’inesperienza di un team al primo MMORPG e sopratutto alcuni macroscopici errori effettuati in fase di design, che lo minano purtroppo alle fondamenta. L’impressione più evidente che ne abbiamo avuto giocandoci è quella che non abbia una direzione chiara in testa, non sappia cioè se essere un vero e proprio MMO oppure semplicemente una versione online di Skyrim. La presenza però di un canone mensile elevato richiede che certe cose siano ben chiare, sopratutto perché questa indecisione si riflette direttamente sull’impianto di gioco e sul sistema di combattimento, fatto più per premiare il gioco in solo che quello in cooperativa. Se a questo aggiungete errori tipici di un team non avvezzo al genere (come la mancanza di un auction house o di una mappa in overlay) e con poca esperienza alle spalle avrete il quadro completo di una situazione tutt’altro che rosea. Al momento, a meno che non siate fan sfegatati della serie, non ci sentiamo di consigliarvi l’acquisto, ma vi invitiamo a seguire la sua evoluzione sulle nostre pagine, visto che la già annunciata prima espansione potrebbe portare in dote la correzione di molti degli errori citati, oltre che, si spera, una nuova rotta da seguire.