Marco Accordi Rickards risponde ad Aldo Cazzullo!

Pochi giorni fa parlavamo di quanto dichiarato da Aldo Cazzullo, un noto giornalista che in un suo recente articolo sul Corriere della Sera definì i videogiochi come una delle preoccupazioni più gravi, a cominciare dalle malattie che oggi si evitano con un vaccino.
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A restare senza parole davanti a tale dichiarazione siamo stati in tanti, primo su tutti Marco Accordi Rickards, direttore di Vigamus – The Video Game Museum of Rome e docente di Teoria e critica delle opere multimediali e interattive all’Università di Roma “Tor Vergata” che ha pensato bene di replicare alle parole di Cazzullo.

“Dottor Aldo Cazzullo,
devo confessarle di aver letto con una certa incredulità il suo intervento in materia di videogiochi. A suo dire, essi sarebbero assimilabili a una malattia, per la quale sarebbe opportuno ricercare un vaccino. “I nostri avi […] erano costretti a considerare la morte dei figli un fatto […] da mettere in conto”, lei scrive, aggiungendo però che noi, oggi, “dobbiamo fronteggiare insidie un tempo sconosciute. La vera piaga dell’infanzia e dell’adolescenza di oggi sono i giochi elettronici”. E se alcuni (solo alcuni, bontà sua) “sono violenti, razzisti, orribili”, “tutti”, continuo a citare le sue parole, “proiettano i nostri figli al di fuori di se stessi, e rischiano di farne degli alienati. Come una droga, li allontanano dallo studio, dalla lettura, persino dalla tv”.
Vede, Cazzullo, io rispetto profondamente la sua cultura, la sua esperienza e la sua professionalità, però non posso fare a meno di chiederle: ma lei conosce i videogiochi? Non le pare di aver affrontato qualcosa di molto grande con estrema superficialità? Vede, il videogioco è un medium proprio come la letteratura, il teatro, il cinema o il fumetto. Ha una storia che risale al 1958, è studiato da decenni in numerose università in tutto il mondo ed è la forma espressiva di autori ed artisti che nulla hanno da invidiare ad altri che, per veicolare il loro pensiero e la loro visione del mondo, hanno scelto diverse modalità. Non le parlo di industria e fatturati, badi bene. Le parlo di cultura, quella che così bene conosce e che con così grande merito ha sempre saputo divulgare.
Il videogioco usa molteplici linguaggi, che fonde insieme per poi aggiungere un quid pluris unico: l’interattività. Possiamo definirlo un’opera multimediale interattiva, che proietta il fruitore in un mondo simulato dandogli una finalità che orienti il suo agire. Non è né migliore né peggiore di un film o di un libro: è solo “diversa”. Una parola bellissima, credo ne convenga. E come potrebbe dirsi per un film o per un libro, il videogioco non è né bello né brutto, né buono né cattivo, perché di titoli ce ne sono di ogni genere: andiamo dalla spazzatura al capolavoro. Solo che il discrimine non è il tema, come lei suggerisce: il fatto che in un gioco si curino i cuccioli nati in un zoo non rende l’opera migliore rispetto a una che, invece, racconta una storia di guerra. Ci sono videogiochi per bambini e videogiochi per adulti, e in entrambe le categorie ne troviamo di belli e di brutti. Pensi un po’: proprio come nel cinema o nella letteratura.
Il gioco dei “marzianetti”, che lei dimostra di disprezzare (la scelta terminologica è indicativa), è Space Invaders di Tomohiro Nishikado, una pietra miliare dei videogiochi del 1978, in esposizione nel Museo del Videogioco di Roma (sì, ne esiste uno, e il quotidiano sul quale scrive ne ha anche parlato) che, peraltro, sta anche entrando nella collezione permanente del Moma di New York. Stia tranquillo: quegli alieni, che come vede non avevano affatto bisogno di evolversi, non hanno alcuna intenzione di rapirci i figli, al contrario di droga, cattiva istruzione, famiglie disattente e di tante gravi malattie, come quella che nel 2007 si è portata via mia figlia, che di anni non ne aveva ancora quattro.
E quello, purtroppo, non era un videogioco.”

Caro Dottor Cazzullo, prenda e porti a casa!