Last Day of June – Anteprima

Articolo a cura di Stefano Pedrocchi

Emozionante! Questa è la parola che ho scelto per iniziare questo articolo, nonché la risposta che mi sono dato quando mi sono auto posto questa domanda: come descriveresti il nuovo titolo di Ovosonico in una parola?

Un gioco svelato pezzo dopo pezzo

Last Day of June è certamente incentrato sulla potenza emotiva che la sua narrativa installa nel giocatore. Un turbinio di emozioni che non può lasciare indifferenti e imperturbabili. Sì perché, sono proprio le emozioni la parola chiave per comprendere tutto ciò che ruota intorno a questo nuovo videogioco “Made in Italy”. E’ lo stesso Massimo Guarini, capoccia di Ovosonico, che ci spiega come l’idea del concept di gioco nasca dalla sensazioni forti provate guardando il video musicale di Steven Wilson e diretto da Jess Cope, intitolato “Drive Home”. Last Day of June nasce proprio dalla volontà di Ovosonico di realizzare un’opera interattiva basata sul lavoro di Wilson, con quest’ultimo che con le sue note accompagnerà il giocatore per tutta la durata dell’avventura. Come i più curiosi di voi avranno notato, negli ultimi giorni Ovosonico ha rilasciato dei piccoli pezzi di puzzle, che, se messi in ordine con parsimoniosa pazienza, danno come risultato una scena raffigurante un pontile. Mancano però i pezzi fondamentali, rappresentati da Carl, protagonista del gioco, e June per l’appunto. L’avventura ha inizio proprio da qui, con i due amanti che fissano lo specchio d’acqua davanti a loro stando vicini l’un l’altro. Una situazione quasi surreale, come se il mondo si fosse fermato, dove tutto il resto perde di significato se non quello di stare insieme. Dal dipinto impressionista che ci troviamo ad osservare, meticolosamente realizzato dal team grazie ad una palette cromatica e da un impatto visivo che ricorda questo stile artistico, Carl prende vita e noi con lui. Mentre June è indaffarata a dipingere, ci muoviamo per il campo erboso alle spalle del pontile citato poco prima, interagendo con il mondo di gioco. Decidiamo di cogliere un fiore per la nostra amata, gesto che lei apprezzerà molto, tanto da inserirlo nel suo dipinto. Questo evento ci permette di capire il funzionamento e l’impatto che le nostre scelte hanno sul mondo di gioco. Non eravamo tenuti a cogliere quel fiore, eppure una scelta così piccola ha avuto un riscontro reale sulla narrativa. Un peso, quello delle scelte, che non farà che aumentare con il progredire dell’avventura. Subito dopo, veniamo catapultati in quello che è a tutti gli effetti un flashback. Questa volta vestiamo i panni di June. Il suo obiettivo è quello di fare una sorpresa a Carl, con tanto di regalo, ma è crucciata su come farglielo ricevere. Girando per la nostra bella casa, cerchiamo di trovare il metodo migliore per regalargli questa piccola gioia.

Tra puzzle ed emozioni

Le fondamenta del gameplay di Last Day of June sono profondamente radicate nei puzzle game con i controlli del personaggio in terza persona. Tornando a June, quando tutte le speranze di inventarci qualcosa sembrano vane e veniamo presi da un’iniziale sconforto, il nostro sguardo si ferma su un quadro, un pontile in riva al lago, soleggiato e caratterizzato da quei colori unici che solo un tramonto può dare. Eccolo finalmente, è deciso. Carl riceverà lì il suo regalo custodito con tanto amore. Nel frattempo, Carl si sveglia dal sonnellino pomeridiano e si mette alla ricerca di June. In questo frangente, possiamo osservare come il mondo all’esterno della nostra casa si rifaccia all’architettura rurale belga/francese, dando quel tocco di unicità e familiarità al tutto. Cortesemente, una vicina ci viene a riconsegnare un apriscatole, che probabilmente le avevamo prestato, e lo disponiamo subito in cantina, luogo di pittura della nostra June. Uno dei tocchi artistici dati all’opera è la mancanza di dialoghi, rimpiazzati da suoni molto particolari che fuoriescono dalle bocche dei nostri pittoreschi personaggi. Una scelta che strizza l’occhio a titoli come Okami e Tearaway che non possiamo non apprezzare. Finalmente, ci ricongiungiamo con June, la quale, tutta entusiasta, ci invita a prendere la macchina per andare proprio lì, a quel pontile. La narrazione, meravigliosamente intrecciata, ci riporta all’istante dove eravamo rimasti, ora perfettamente comprensibile e ricco di significato. Il momento fiabesco viene purtroppo interrotto dal frastuono di quello che sembra essere un imminente temporale. Una volta in auto, ne prendiamo il controllo (in tutti i sensi, dato che la sezione di guida è stata resa giocabile), e ci dirigiamo verso casa. Una sequenza ci fa vedere come l’auto imbocca una galleria, le cui tenebre la inghiottono pian piano, e nel contempo appare il titolo del gioco, come nelle migliori introduzioni. Sembra finita, eppure c’è un’ultima ed importante sezione che ci viene mostrata. Carl si risveglia di nuovo a casa, ma c’è qualcosa che non va. I colori, un tempo accesi e decisi, sono stati sopraffatti da toni freddi e cupi e la poltrona di June è vuota. Siamo soli. A farci compagnia, però, c’è qualcun altro, o per meglio dire, qualcos’altro. Una sedia a rotelle. E’ facile capire che il nostro viaggio di ritorno a casa non è stato dei più fortunati. La tristezza permea tutta la casa e Carl stesso, che a fatica si fa accogliere dalla sua nuova compagnia di vita, dirigendosi poi in cucina. Ha fame. Sì, quello che gli serve è proprio un bel barattolo ricco di leccornie. Nonostante i suoi sforzi, il contenitore non ne vuole sapere di aprirsi. Gli servirebbe una mano. Certo, l’apriscatole, quello che recentemente ci ha consegnato la nostra vicina. Sì ma dov’è? Proprio lì, in quel luogo dal quale si era ripromesso di stare lontano, l’angolo di pittura della sua June. L’idea non lo rende contento, anzi tutt’altro. Troppo dolorosi i ricordi, troppo intensi per volerli risvegliare. Eppure, Carl si fa forza ed entra nella stanza. Tutto sembra andato per il meglio, con gioia troviamo immediatamente il nostro apriscatole. Non c’è più bisogno di restare. Mentre stiamo per lasciarci finalmente alle spalle quel luogo di dolore, un colpo d’aria fa cadere un telo che ricopriva uno dei tanti quadri di June, un autoritratto per giunta. In quel momento, tutte le emozioni ritornano con una potenza inaudita, come un pungo nello stomaco, e appare in sovra impressione il comando “ricorda”. 

Conclusione

Così finisce la nostra prova di Last Day of June, un quindici minuti di narrazione coinvolgente, che intrattiene senza mai annoiare e che insinua nel giocatore stati d’animo differenti, notevole in una semplice manciata di minuti. Non vediamo l’ora di vederne di più e osservare l’evoluzione dell’intreccio narrativo e del gameplay che, a detta di Massimo Guarini, metterà il giocatore di fronte ad enigmi e puzzle di difficoltà crescenti. In poche parole, vogliamo emozionarci ancora. Quindi sì, dopo tutto, emozionante rimane ancora la parola perfetta per descrivere Last Day of June.