Macchine bio-ibride a base di topo? Si può fare

topino da laboratorio

Le nuove frontiere della biotecnologia oggi ci propongono muscoli di topo con scheletro cibernetico!

Una volta c’era il cinema di fantascienza. Poi è arrivato l’editing del genoma con CRISPR-Cas9 e il futuro è apparso improvvisamente a portata di mano. Ci sono momenti in cui sembra che l’uomo possa tutto e parole come “assurdo, impossibile” perdono di significato. Dopo essere arrivati sulla Luna, aver creato Internet e aperto la frontiera dell’intelligenza artificiale, ora siamo a ridosso di un altro progresso scientifico-tecnologico epocale, quello delle bio-macchine. In fantascienza si parlerebbe probabilmente di cyborg, ma ibridi uomo-macchina così sofisticati non ci siamo ancora nemmeno lontanamente. Quello che però stiamo ottenendo sono i primi esempi riusciti di sistemi integrati biomeccanici, possibili grazie ai mammiferi più odiati-amati dall’uomo: i topi!

Cyborg, dalla fantascienza alla realtà

Una bellissima cavia da laboratorio
Una bellissima cavia da laboratorio

Essendo le cavie gli animali più usati in laboratorio, c’era forse da aspettarsi che proprio dai topi sarebbero arrivati i primi riscontri positivi nei tentativi di realizzare ibridi biomeccanici. In particolare è un gruppo di ricercatori del MIT ad aver pubblicato un paper nel quale evidenziano i passi avanti compiuti nel settore di quelle che loro stesse definiscono macchine “bio-ibride”. Si tratta cioè di composti misti di parti sintetiche e biologiche, imitate per il momento alla realizzazione di macchine in grado di sfruttare i tessuti muscolari dei topi per dar “vita” a tecnologie semoventi dalle più svariate applicazioni.

Gli scienziati descrivono l’ambito di ricerca come il successivo assaggio logico rispetto alla messa a punto di materiali tecnologici morbidi, gli stessi che per esempio hanno portato alla realizzazione dei primi dispositivi foldable, come ad esempio gli smartphone pieghevoli o i monito avvolgibili. Gli scienziati si sono chiesti se e come fosse possibile realizzare dei dispositivi in grado di flettersi e rilassarsi, imitando cioè i comportamenti dei tessuti biologici, e sono arrivati alla conclusione che non ci fosse modo migliore che ricorrere ai tessuti stessi! I primi risultati sono estremamente incoraggianti, dato che il documento intitolato Enhancing and Decoding the Performance of Muscle Actuators with Flexures pubblicato sulla rivista Advanced Intelligent Systems, parla del successo nella creazione di queste macchine ibride.

Macchine rosicchianti

 Schema delle macchine bio-ibride allo studio del MIT
Schema delle macchine bio-ibride allo studio del MIT

Il team di ricerca composto da Naomi Lynch, Nicolas Castro, Tara Sheehan, Laura Rosado, Brandon Rios, Martin Culpepper e Ritu Raman ha messo a punto una macchina ibrida composta da tessuto musoclare di topo che avvolge una sorta di “scheletro cibernetico” che svolge il ruolo di struttura interna rigida ma anche di molla: in pratica si adatta e segue movimento e direzione del tessuto muscolare che lo avvolge quando esso di contrae e successivamente si rilassa. Detto in parole povere, gli scienziati sono riusciti a costruire le prime bio-macchine semoventi! Certamente si tratta ancora di esperimenti non destinati a uscire dal laboratorio (le dimensioni di queste minuscole macchine le fanno agevolmente alloggiare su piastre di Petri).

Ovviamente la sfida più difficile è far sì che tale muscolo lavori in maniera sensata, in assenza di un “cervello” che gli ordini cosa fare. Bisogna cioè fare in modo che non si contragga a casaccio, ma risponda a specifici input di comando, presumibilmente provenienti dalla componente meccanica dello stesso o da dispositivi remoti. Risultati promettenti sono stati ottenuti realizzando strutture interne estremamente flessibili, la cui rigidità è pari a 1 centesimo rispetto a quella del muscolo stesso: in questo modo la componente meccaniche della macchina bio-ibrida è in grado di piegarsi e assecondare i movimenti del muscolo senza danneggiarsi.

La principale applicazione che gli scienziati del MIT vedono per questa tecnologia riguarda l’ambito medico: le bio-macchine potrebbero essere impiegate per interventi mirati di microchirurgia non invasiva. Tuttavia, come spesso accade in casi di tecnologie pionieristiche come questa, il limite di applicazione è rappresentato solamente dalla nostra immaginazione.