La Nasa ci mostra uno scorcio inedito contenente un cluster pazzesco di galassie

scoperto cluster di galassie grazie a lente gravitazionale

Il cluster di galassie MACS0416 offre scorci a dir poco… spaziali!

Non ci si abitua mai alle fotografie dello spazio profondo. Galassie lontanissime, pianeti a distanze siderali, ammassi stellari e buchi neri scatenano la fantasia di chiunque e sollevano eterne domande sul senso della vita nel cosmo, sull’interrogativo se ci sia altra vita intelligente là fuori, su chi siamo e dove andiamo, oltre ad affascinarci con le loro incredibili forme e spettacolari colori. Buona parte di queste incredibili fotografie le dobbiamo ai due maggiori telescopi spaziali, Hubble e James Webb, che in decenni di onorata carriera hanno immortalato molte delle più incredibili conformazioni galattiche che si siano mai potute osservare.

Ora è la volta di nuova meraviglia: la NASA ha diffuso alcune fotografie relative ad un ammasso di galassie, un cluster classificato con la sigla MACS0416, che tecnicamente sono due cluster galattici in collisione tra loro. Corpi celesti a distanze e di dimensioni difficilmente immaginabili dalle nostre piccole menti, che sono comunque in grado di apprezzare l’eccezionale bellezza estetica di questi fenomeni di proporzioni gargantuesche.

Cluster galattici!

Una spettacolare fotografia del cluster MACS0416
Una spettacolare fotografia del cluster MACS0416

La NASA ci offre qualche coordinata conoscitiva per decifrare il significato del bellissimo spettacolo che stiamo ammirando. Spiega che il cluster MACS0416 ha una forza di gravità talmente alta da deformare completamente lo spazio ed il tempo attorno ad esso. Come si può osservare la luce prende una strana curvatura, questo perché in tali condizioni di deformità le è impossibile propagarsi in forma rettilinea. Gi effetti di distorsione provano anche illusioni ottiche, alterando le dimensioni di alcuni corpi celesti che appaiono grandi pur essendo più distanti di altri che sono in realtà più vicini: si tratta del cosiddetto effetto di lente gravitazionale.

Il cluster in questione, che occupa la porzione centrale della fotografia si trova ad una distanza di 4,3 miliardi di anni luce dalla Terra, mentre dietro di esso osserviamo tante altre galassie (in questa foto ce ne sono letteralmente centinaia) ancora più lontane. A seconda del colore delle galassie possiamo farci un’idea della loro distanza: quelle tendenti al bianco sono più vicine, quelle rossastre sono le più remote. Una galassia particolarmente interessante è localizzata subito dietro al cluster: è stata denominata Mothra e ci appare come una lunga striscia rossa, indice dell’enorme distanza che ci separa da essa. Si è calcolato che sia una galassia molto antica, nata a circa 3 miliardi di anni di distanza dal Big Bang. Riusciamo a vederla solamente grazie all’effetto di lente gravitazionale di cui dicevamo prima, che ne ingrandisce le proporzioni di circa 4000 volte!

particolare ingrandito che evidenzia la lontanissima galassia Mothra
particolare ingrandito che evidenzia la lontanissima galassia Mothra

L’unione spaziale fa la forza

Osservazioni di questo tipo sarebbero impossibili senza la profusione di grandi sforzi internazionali per dar vita a progetti astronomici congiunti e stanziamenti di fondi a livello mondiale. La NASA dunque non è sola in questa, dato che molte osservazioni e missioni esplorative sono condotte in tandem con l’ESA, l’agenzia spaziale europea, e la CSA, quella canadese. La stessa costruzione dei telescopi spaziali è il frutto di una collaborazione tra vari paesi, ed uno degli esempi migliori di come la collaborazione fra esseri umani possa tradursi in risultati straordinari con benefici collettivi.

James Webb è il miglior frutto di queste collaborazioni, il primo telescopio spaziale orbitale che, non essendo ancorato a terra come Hubble, non risente delle rifrazioni di luce e gas dell’atmosfera terrestre e ci permette quindi di spingere la nostra visione moto più in là di quanto potrebbe fare il più sofisticato dei telescopi costruiti sulla superficie di un pianeta. Questo anche grazie al suo specchio di superficie 2 volte e mezzo superiore a quello di Hubble, che gli consente di catturare una maggior quantità di luce e dunque vedere più lontano. E siccome guardare lo spazio significa guardare indietro nel tempo, più guardiamo lontano più possiamo risalire a tempi vicini al Big Bang, più possiamo cercare di capire meglio cosa , come e perché si è scatenata quella singolarità che ha dato inizio all’intera esistenza. La speranza, come riportato da Jean Creighton, direttore del Manfred Olson Planetarium della University of Wisconsin–Milwaukee, è quello di riuscire prima o poi a fotografare i primissimi corpi celesti scaturiti dal Big Bang.

Ma le sue osservazioni non sono rivolte solo alla ricerca di risposte riguardanti l’origine dell’universo, bensì anche alla ricerca di sistemi stellari e pianeti dalle caratteristiche simili alla Terra, nella speranza di trovare, un giorno, prove tangibili dell’esistenza di vita extraterrestre. Grazie a sofisticati spettrografi, infatti, James Webb è in grado di rivelare la composizione chimica dei atmosfera e superficie dei pianeti, e recentemente gli scienziati stanno utilizzando questi strumenti per approfondire lo studio del sistema stellare TRAPPIST, che contiene pianeti estremamente interessanti dal punto di vista chimico, molto simili a Venere per composizione e temperature.