Catechismo gaming: pellegrinaggio attraverso i videogiochi di educazione cristiana

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DISCLAIMER: lo sprite di Gesù Cristo nostro signore in copertina è ad opera di Raphael Joseph Mary, monaco benedettino e artista; date un’occhiata al suo profilo Artstation!

Come la stragrande maggioranza degli italiani nati nel secolo scorso, sono stato cresciuto a pasta al pomodoro e religione cristiana cattolica – e in una delle sue declinazioni più caratteristiche, quella dell’Italia meridionale. La vita mi ha poi portato a diventare il cinico nichilista che sono adesso, a interagire con la fede con la stessa serenità di Fëdor Dostoevskij, ma ricordo benissimo tutti i rituali e le prassi sociali di un credo che ancora emanava tutta la sua democristianità.

L’aspetto didattico costituiva una parte fondamentale di questo sistema: libricini illustrati, VHS di cartoon che raccontavano le sacre scritture, e come dimenticare il catechismo, quelle due ore pomeridiane al lunedì alle quali mai tua madre ti avrebbe fatto mancare. Ricordo affettuoso, una delle catechiste che teneva sotto osservazione il sottoscritto e il mio compagnuccio Ninì perché disegnavamo mostri sui quaderni e ascoltavamo metal. Ma questa è un’altra storia.

In mezzo a tutto questo materiale propedeutico alla costruzione dell’esercito di Dio, non mancavano e non mancano tutt’ora soluzioni videoludiche. Perché le via del Signore sono infinite, e alcune contemplano anche joypad e schede video.

Evangelizzazione a 8-bit

Si parte dall’Antico Testamento e allora il primo gioco al quale mi approccio è Bible Adventures, sviluppato per Nintendo negli U.S.A. da Wisdom Tree. Si tratta di un platform diviso in tre sezioni che rappresentano altrettanti passaggi del libro più venduto al mondo: l’assembramento degli animali nell’arca di Noè, il salvataggio del piccolo Mosè, Davide contro Golia. Nella realtà il gameplay è lo stesso in tutti i casi, bisogna raccogliere degli oggetti di gioco da trasportare verso la zona utile, saltando e badando ai nemici, in un prodotto che è un’imitazione di Super Mario Bros. 2 – il che è il vero sacrilegio. All’interno dei livelli troviamo un elemento che ricorrerà nei titoli del genere preso in esame: pagine delle sacre scritture che permettono al giocatore di raccogliersi per qualche istante al cospetto della parola divina.

C’è però qualcosa di conturbante in un gioco sviluppato per predicare il cristianesimo e che però fa venire in più occasioni voglia di bestemmiare a causa della sua giocabilità macchinosa. Graficamente scadente, ho invece apprezzato il comparto audio, sia per lo spassosissimo suono del verso delle pecore che per la scelta di inserire per tutto il gioco un unico brano, un solo motivo musicale che si ripete all’infinito finché non diventa un salmodiare nella nostra testa, e chissà forse anche nel nostro cuore. Ma capisco che a qualcuno potrebbero saltare i nervi dopo pochi minuti.

Restiamo a Kyōto e ancora una volta con Wisdom Tree, ma passiamo al Game Boy per ritrovare Mosè cresciuto e protagonista di un gioco che è riuscito a sorprendermi, Exodus: Journey To The Promised Land.

Visuale alla The Legend Of Zelda, protagonista l’uomo che condusse il popolo d’Israele fino alla terra promessa, ed eccoci ad affrontare 50 livelli tra ostacoli ambientali e vari tipi di nemici, tra cui uno sospettosamente somigliante a Doctor Strange.

L’obiettivo è trovare in ciascuno stage i 5 punti interrogativi nascosti, corrispondenti ad altrettante domande di religione che ci verranno poste una volta completata la sezione; per ogni risposta corretta, un power-up. Questa volta la software house americana svolge bene il lavoro che si era prefissata: il gioco gira bene ed è divertente, e i quiz appaiono non come un’interruzione del momento ludico ma come un piacevole extra coi quali diventa quasi automatico apprendere quella parte di racconto biblico, specialmente per un bambino.

“Non hai imparato niente da quello lì che fa i sermoni in chiesa?” cit.

Il prossimo gioco rischiava di occupare tutto lo spazio di questo articolo, tanta è la potenza che colpisce chi ci si imbatte, una folgorazione, come San Paolo sulla via di Damasco ma col pc acceso. Parto delle menti ispirate da Dio di Bridgestone Multimedia Group, Captain Bible in Dome of Darkness è un gdr/avventura grafica per pc di ambientazione sci-fi. Tenetevi forte.

Un gruppo di robot blasfemi ha costruito una Torre dell’Inganno che genera una Cupola di Oscurità sulla città dove ha luogo la vicenda. Questo cupola funge da schermo contro la verità – intesa come dottrina divina – e la popolazione al suo interno è vittima delle cyberbugie (chiamate proprio così) dei nemici. Queste cyberbugie consistono in una serie di fraintendimenti e provocazioni in rapporto alla parola cristiana, come «Non preoccuparti degli altri, pensa solo a te stesso», oppure « Dio vuole uccidere i peccatori prima che abbiano una possibilità di redimersi», fino alla mia preferita, «Non credo che Dio voglia avere a che fare con un’insignificante particella di protoplasma come te».

Come rispondere a un’offensiva tanto subdola, come proprio le azioni del maligno sanno essere? Ovviamente col verbo del Nazareno, efficace tanto con le anime quanto con le CPU. Equipaggiati con una Computer Bible, quasi letteralmente un Pokédex cristiano, dovremo andare alla ricerca delle stazioni elettroniche alle quali connetterci per scaricare versi delle sacre scritture da impiegare contro i nemici: vi sorprenderà scoprire quanto dei robot possano patire il potere di Gesù. Questa meccanica ha anche uno scopo catechetico: i testi rimangono infatti memorizzati, ed essendo necessari in diversi momenti del gameplay, il giocatore utilizzandole le memorizza. Sono assolutamente ammirato, gioco-partita-incontro.

Ma le parole dei profeti supportano il credente anche nella preghiera, ovviamente. Captain Bible semplifica e svilisce l’atto della comunicazione con Dio, ignora Giovenale e abbassa l’intimo e profondo atto a mera questua. Cosa voglio dire? Che in Captain Bible le preghiere servono a ottenere i power-up: ci si inginocchia, si recitano le giuste frasi, e si diventa più skillati. BOOM SHAKALAKA.

Si vaga per una mappa a là Metroid, si sgamano i falsi idoli per convertire i pagani, col fine di liberare la città e far trionfare Gesù. Captain Bible è proprio come il libro che porta nel nome, una storia ricca di passaggi incredibili e momenti indimenticabili, e come i testi sacri più che capito va sentito, e quindi è inutile che io continui a parlarvene, provate a giocarlo oppure pentitevi.

Ooosannaaa eeeh ooosannaaa eeeh

La musica è uno strumento privilegiato d’interlocuzione col divino. Lo sapevano i greci, per i quali la cetra serviva a collegare questo e l’altro mondo, strumento che era anche attributo di Apollo, e pensiamo ai canti gregoriani, al gospel della cultura afroamericana, all’adhān, la chiamata ad adunarsi in preghiera per i musulmani. E lo saprà anche il team di Digital Praise, software house californiana che nel primo decennio degli anni 2000 si sarà probabilmente posta il seguente quesito: Perché deve esistere solo un Guitar Hero laico?

Praise Guitar è semplicemente la revisione cristiana del celeberrimo franchise di Activision: chitarra plasticosa in mano e via a giocare con brani scritti da artisti dichiaratamente credenti, come i Flyleaf, gli Skillet, o i Crucified, che apprendo essere una band statunitense dedita a un hardcore ispirato al più famoso abitante di Betlemme.

Non si trattava comunque dei primi passi in questa direzione della casa di sviluppo, che qualche anno prima aveva prodotto Dance Praise, questa volta riprendendo da giochi come Dance Revolution.

Non si finisce mai di evangelizzare

Appare evidente come la religione cristiana abbia perso quella sua centralità marmorea, almeno per quanto riguarda la società occidentale. Sotto un velo di riverenza e tradizione, sono molti i paese a testimoniare un calo del numero di credenti e un continuo mutamento delle tradizioni sociali. Cionondimeno, o forse a maggior ragione, continuano a uscire videogiochi di matrice cristiana, come l’ambizioso Bible X o i titoli indie sviluppati da J2415 Studio.

Ma proviamo a considerare cosa possa rimanere dopo esperienze di gaming come quelle di cui abbiamo parlato.

La fede non può essere considerata una condizione fissa, un possesso del singolo individuo che o ce l’ha o non ce l’ha. Si tratta piuttosto di un rapporto complesso con una sfera difficilissima da comprendere, uno scambio sul quale l’uomo continua a indagare da migliaia di anni. Tolti i fattori folkloristici relativi alla cultura di un determinato luogo, la fede rientra nel campo della sensibilità e della ricerca spirituale, è figlia di una moltitudine di fattori educativi e biografici, e non può configurarsi che come un percorso lungo e in continua evoluzione. Ed è importante capire che questi videogiochi non riguardino la fede, ma la religione.

Mi viene facile immaginare che soprattutto un bambino, dopo aver trascorso qualche ora felice con uno dei titoli di cui abbiamo parlato, possa aver memorizzato alcuni episodi della dottrina cristiana, e si sia magari avvicinato o affezionato a certi temi. Ma questo rientra nel campo della cultura cristiana, non della fede. Prodotti videoludici cristiani capaci quindi di trasmettere nozioni, oppure, in certe situazioni sociali più intransigenti, di creare una comfort zone. Ma la fede è un’altra cosa.

Non sono un teologo, e non credo di avere gli strumenti adatti per parlare di questioni divine, ma se in cielo risiede un Dio che è onnisciente, allora sono abbastanza convinto che giochi a Super Mario, a Zelda, a Forza Horizon, a Tetris. Ora scusatemi, devo andare a confessarmi.