Nero – Recensione

Recensione di Gianluca Arena – Esclusiva xbox one

Da italiano aziendalista, quando un team di sviluppo tricolore sviluppa e produce un gioco non posso che gonfiare il petto: il nostro è un paese di avidi videogiocatori (e lo è da decenni), ma purtroppo raramente è stato anche prolifico a livello di sviluppo e di produzione di titoli, soprattutto a livello console.
I ragazzi di Storm in a Teacup, di stanza a Roma, si sono cimentati con un’avventura atipica, introspettiva, che batte sentieri diversi dalle solite produzioni cui l’utenza Microsoft è abituata.
Ma, nonostante spunti interessanti, non sono solo rose e fiori.

Domande su domande

La narrativa in Nero è affascinante non solo per la storia raccontata in sé, che sicuramente smuoverà il cuore del videogiocatore, ma anche per le modalità con cui quest’ultimo è chiamato a partecipare, a scovare indizi ed informazioni aggiuntive rispetto a quelle che gli vengono somministrate dal titolo.
Sicuramente una delle principali fonti di ispirazione per il team di sviluppo è stato quel Gone Home che tanto (meritato) successo ha riscosso su PC un paio di anni fa: lì come qui, il giocatore è chiamato a cercarsi frammenti di storia, a risolvere puzzle supplementari e non necessari all’avanzamento per scoprire di più su quello che sta succedendo e diradare la nebbia sui misteri di cui il mondo di gioco è infarcito.
La scelta di una visuale in prima persona e la presenza di una voce narrante (che a tratti ha ricordato quella di Bastion, sebbene questa sia molto meno invasiva) aumentano il coinvolgimento e sottendono ad un’esperienza di gioco misteriosa, intrigante, che inviterà a giungere ai titoli di coda in meno di tre ore.
La presenza di piccoli bivi e di frammenti di foto sparsi per i livelli potrebbe spingere a rigiocare il tutto una seconda volta, ma la scarsa longevità non è, ahinoi, l’unico problema del titolo, che, disgraziatamente, disfa tutto ciò che di buono costruisce a livello di trama ed ambientazione con una serie di gravi problemi connessi al gameplay e alla parte strettamente ludica.

Difficoltà

Dolcemente introdotto nel mondo di gioco da un incipit evocativo, il giocatore si trova presto a scendere a patti con una serie di mancanze a livello di gameplay che limitano molto la fruizione e la godibilità del titolo.
Partiamo dagli enigmi: cuore pulsante e principale metodo di interazione con gli ambienti, i puzzle proposti sono di una semplicità disarmante, con un picco di difficoltà clamoroso nella seconda parte, che sono riuscito a superare solamente a tentativi (maledetto cubo!).
Sebbene si possa ipotizzare che la semplicità sia legata all’accessibilità e alla volontà di dare priorità alla storia, la strada percorsa dal già citato Gone Home o dalle avventure di Telltale sembra preferibile: perché includere enigmi di scarso interesse quando si ha una narrazione forte?
Il secondo problema deriva dal puntatore, tutto fuorché preciso, probabilmente perché, in assenza del mouse, che appare come il sistema di input ideale, l’interfaccia fatica.
La natura di esclusiva per la console Microsoft, però, pone interrogativi sull’intera questione: perché non migliorare sensibilità e precisione del puntatore sapendo di poter contare solo sul pad di Xbox One?
L’introduzione di un secondo personaggio, una sorta di figura paterna, già nelle prime fasi dell’avventura aprirebbe, in teoria, ad una serie di soluzioni ludiche e narrative interessanti, che però raramente vengono sfruttate a dovere, lasciando l’impressione di un’occasione persa: molti dei puzzle si sarebbero giovati della collaborazione tra i due personaggi, ma, nei fatti, quelli che sfruttano questa feature non risultano particolarmente ispirati.
Ci sono anche altri due ordini di problemi, relativi al prezzo richiesto e alla totale assenza del supporto per la lingua italiana.
L’uno, di poco inferiore ai venti euro, pare francamente eccessivo per l’offerta ludica proposta, non solo per la brevità dell’avventura ma anche per l’ottimizzazione tecnica (su cui mi soffermerò nel prossimo paragrafo), l’altra appare un paradosso difficilmente spiegabile: perché un team italiano (sebbene con membri dello staff provenienti anche dall’estero) non si è curato di offrire all’utenza nostrana almeno i sottotitoli?
Personalmente non ho problemi con l’inglese, ma tutta l’utenza meno anglofona rischia di perdersi risvolti anche importanti di quella che, a conti fatti, è la parte migliore del titolo, ovvero l’intreccio.

Problemi di gioventù

Anche il versante tecnico presenta smagliature non indifferenti, probabilmente dovute al budget limitato con cui i programmatori hanno dovuto confrontarsi: il motore Unity, che muove il gioco, non appare nella sua forma più smagliante, concedendo un forte aliasing e inciampando spessissimo in quanto a framerate, con punte verso il basso mai viste finora sull’ammiraglia Microsoft.
La discreta effettistica e l’ottimo contrasto tra il buio che avvolge le location e le luci delle scritte e degli elementi interattivi copre solo in parte le magagne, difficilmente giustificabili se si pensa alla conta poligonale e alla totale assenza di momenti concitati o con lo schermo pieno di modelli poligonali in movimento.
Anche i caricamenti, fortunatamente non troppo frequenti, sono estenuanti nella loro lunghezza: sebbene alcuni di questi problemi potrebbero essere alleviati da una o più patch, al momento di scrivere questi nodi non sono ancora venuti al pettine, e l’esperienza che ne risulta non è pienamente soddisfacente.
Come per la trama, il lavoro svolto sulla colonna sonora è invece degno di nota, con motivi leggeri e mai invadenti, che ben si sposano con le atmosfere e le rivelazioni che la trama ha in serbo per il giocatore.

Commento finale

Giocando a nero, apprezzandone lo sforzo creativo e il lore e scontrandomi con diversi muri a livello tecnico e di gameplay, ho avuto la costante impressione che i ragazzi di Storm in a Teacup non abbiano creduto a sufficienza in loro stessi e nella storia che stavano per raccontarci, includendo dei puzzle di scarso interesse quasi a forza, nel timore di non fornire abbastanza “giocato” all’utente finale.
Invece, a conti fatti, le ambientazioni, le tecniche narrative e la colonna sonora sono gli unici lati della produzione esenti da pecche: il potenziale c’è, ma l’esordio su Xbox One poteva essere decisamente migliore.