Dynasty Warriors 8 Empires – Recensione

Recensione di Gianluca “DottorKillex” Arena

Puntualissimo da diversi anni a questa parte, ad ogni nuovo Dynasty Warriors regolare segue una versione Empires, che tenta di approfondire le dinamiche di gioco hack’n’slash della serie unendo due saghe storiche di Koei (l’altra è quella dei Romance of the Three Kingdoms), con risultati fin qui alterni: se da un lato è apprezzabile il tentativo di offrire qualcosa in più di un semplice (e ritrito) action game, dall’altro il cuore del gameplay rimane invariato, consegnandoci una serie di prodotti che finiscono con l’essere né carne né pesce.
Siamo all’anno della svolta?

L’unificazione della Cina

Unificare la Cina sotto un solo vessillo è il motore ultimo di Dynasty Warriors 8 Empires, che mette in vetrina il suo Empire Mode, che torna, potenziato ed ampliato, dal settimo episodio, con tutto il suo strascico di implicazioni tattiche ad arricchire le solite schermaglie sul campo di battaglia.
Dopo aver scelto il proprio ruolo, ognuno con le sue mansioni e caratteristiche specifiche (un regnante detiene il potere supremo, uno stratega ha l’ultima parola sulle tattiche da adottare una volta sul campo di battaglia e un nomade ha grande libertà di movimento e di scelta sul vessillo a cui prestare giuramento), il giocatore sarà introdotto ad un susseguirsi di battaglie combattute con l’ormai arcinoto ritmo del titolo e fasi più riflessive, in cui dipanarsi tra menu, intessendo alleanze, amicizie ed amori, con tanto di generazione di una prole, i cui valori estetici e di caratteristiche saranno decise randomicamente dal software.
L’editor, pur corposo come da tradizione, ci è parso virtualmente identico a quello della scorsa iterazione, con una grande quantità di variabili ma personaggi che tendono ad assomigliarsi un po’ tutti: gradita la possibilità di andare ad influire anche sul proprio stemma, sul layout delle unità semplici e finanche sul nostro destriero d’ordinanza.
Allearsi con i regni confinanti piuttosto che invaderli e passarne la popolazione a fil di spada saranno scelte dettate dal susseguirsi degli eventi, e, dato il ritorno ad un sistema di crescita a livelli (con il level cap fissato a 99) in luogo di quello della fama degli scorsi capitoli, il giocatore si sentirà maggiormente libero di scegliere per il suo alter ego un cammino di sangue e sofferenza, facendone la versione orientale di Attila in luogo del classico generale senza macchia e senza paura.
Le varianti tattiche sono grossomodo le stesse già viste in passato, con l’intelligenza artificiale nemica che, differentemente da quanto accade sul campo di battaglia, proverà ad opporre una resistenza credibile, cingendo d’assedio le province più remote del nostro impero: starà a noi decidere se e come queste ultime dovranno essere difese, tramite battaglie assai simili a quelle offensive ma dalla durata limitata di cinque minuti, passati indenni i quali potremo dirci al sicuro.



La delusione ha il suono della battaglia

Sebbene non tutte queste dinamiche strategiche siano ben bilanciate (costruzioni istantanee, stiamo guardando voi), le opzioni sono comunque tante e l’appassionato di lunga data non esiterà a trovare pane per i suoi denti.
Peccato allora che, una volta scesi sul campo di battaglia, ci venga propinata nuovamente la stessa zuppa che Tecmo Koei riscalda ormai due o tre volte all’anno, tra spin-off, seguiti e riedizioni: il button mashing regna sovrano e ogni tipo di profondità e finezza tattica viene sacrificato sull’altare dell’accessibilità a tutti i costi, con il risultato che, passati i primi quindici minuti di entusiasmo, il gioco sembra davvero avere poco altro da dire.
La grandissima varietà di armi e personaggi selezionabili viene vanificata da centinaia di situazioni ripetitive, in cui passeremo a fil di lama migliaia di nemici indistinguibili l’uno dall’altro, mossi da un’intelligenza artificiale decisamente lacunosa e raramente capaci di mettere in difficoltà il giocatore, anche ai livelli di difficoltà più elevati.
La necessità di muoversi rapidamente da un angolo all’altro della mappa per difendere generali in difficoltà nonché obiettivi sensibili prova a mescolare le carte in tavola, così come il ritorno degli Stratagemmi, una sorta di carte da evocare nei momenti topici della battaglia, che permettono di rivoltare situazioni apparentemente disperate: alterare il tempo atmosferico è solo una di queste, ma è anche una delle migliori, perché le condizioni meteorologiche favoriranno determinati effetti elementali.
Evocare una pioggia di fulmini durante una bufera causerà al nemico un quantitativo bonus di danni rispetto ad attuare la stessa mossa quando splende il sole: piccolezze come questa testimoniano una discreta cura per il dettaglio, testamento dell’amore del team di sviluppo per questa loro saga; forse proprio per questo Omega Force insiste su una formula di gioco collaudata ma anche logora, che si ripete stancamente da troppi anni e che, nonostante discreti risultati di vendita (soprattutto in patria), sta estraniando molti appassionati della prima ora.
Lo sbarco sull’attuale generazione di console della sottoserie Empires, in questo senso, non ha portato novità di peso, migliorando solamente la stabilità del framerate e il colpo d’occhio generale, senza che la maggior potenza computazionale abbia portato una ventata d’aria fresca all’interno del brand.



Immobilismo tecnico

L’immobilismo di cui l’intera serie ha ormai fatto un suo marchio distintivo si allarga anche al versante tecnico, i cui passi avanti sono sì costanti ma terribilmente lenti: la nota più lieta è rappresentata dal framerate della versione PS4, da noi testata, che, in una trentina di ore di test, si è smossa dai 60 fps in non più di un paio di occasioni, e comunque in maniera appena percettibile.
Considerando il marasma che c’è a schermo durante le missioni più avanzate e le centinaia di personaggi mossi contemporaneamente dal motore grafico, il risultato è sicuramente degno di nota: dispiace piuttosto che non si possa parlare altrettanto bene del resto della produzione, con qualche texture di troppo al limite della bassa risoluzione, un design generale poco ispirato e filmati di intermezzo dalla qualità altalenante, che vanno dall’inadeguato al più che soddisfacente nel volgere di un pomeriggio di gioco.
La quantità dell’offerta ludica non è in discussione: posto che riusciate a passare sopra ad un gameplay uguale a se stesso da troppi anni, avrete moltissimo da giocare, tra modalità online, un cast di personaggi sterminato e l’editor di scenari.

Commento finale

Di anno in anno, di riedizione in riedizione, aumenta il rammarico per la direzione intrapresa dalla saga di Dynasty Warriors, e questa versione Empires non costituisce un’eccezione: se Omega Force incanalasse la devozione verso i suoi brand nella ricerca di nuove soluzioni di gameplay, mantenendo la strabiliante offerta ludica e l’attenzione per i dettagli, ci troveremmo tra le mani un brand quasi irrinunciabile, peraltro a cadenza quasi semestrale.
Allo stato attuale delle cose, invece, Dynasty Warriors 8 Empires rappresenta tutt’altro che un acquisto imprescindibile, e saprà soddisfare solamente i fan più accaniti della saga: tutti gli altri possono passare oltre senza troppi rimpianti, o, al massimo, aspettare un consistente taglio di prezzo.