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Tencent: restrizioni sul giocare online per i giocatori cinesi

La Cina è ormai il più grande mercato videoludico del mondo,  ed ha raggiunto questo traguardo anche grazie a publisher come Tencent Games.

Branca della mastodontica corporazione multimediale Tencent, a noi occidentali è nota come la società di possesso di League of Legends e, più recentemente, del 40% di azioni della Epic Games, casa sviluppatrice di Fortnite. Per farla breve, Tencent è il pesce più grosso di internet dopo Google ed Amazon. 

Eppure, un mercato così vasto è anche uno dei più ristretti e controllati di tutti quanti: il governo è onnipresente in qualsiasi attività ricreativa, e questo vuol dire che può influenzare pesantemente la distribuzione e la censura di videogiochi stranieri, (le home console erano illegali fino al 2015), e lo sviluppo di videogiochi nativi.

Questo significa che i videogiochi cinesi devono sottostare alle direttive sociali e culturali dettate dal Partito sempre e comunque, pena ingenti sanzioni penali.

 

 

Tencent come leader nella distribuzione di videogiochi in Cina

Grazie a Tencent, i videogiocatori cinesi hanno avuto modo, quest’anno, di giocare finalmente a Player Unknown Battlegrounds sui propri dispositivi mobile… sebbene la loro versione sia “leggermente” diversa dalla nostra.

La censura di elementi violenti, come sangue, o riferimenti negativi al Comunismo come le rovine sovietiche delle mappe di gioco, sono di fatto degli elementi che danneggiano l’ideale di Armonia e Unità della Nazione, secondo il Partito, e quindi vanno regolati di conseguenza.

Per accedere ai maggiori giochi multiplayer cinesi, bisogna inoltre immettere i propri dati personali scritti sulla carta d’identità, con tutte le informazioni ad essa correlate. Gli equivalenti del codice fiscale, luogo di residenza, stato sociale e lavorativo sono tutte informazioni che poi i developers comunicano alle agenzie di sicurezza statali.

Ciò serve a prevenire ed identificare i cheaters, fenomeno molto diffuso in Cina ma anche punito severamente, e soprattutto a limitare le ore di gioco dei bambini ed adolescenti, poiché la dipendenza da videogames è un argomento molto sentito in Cina.

I bambini sotto i 12 anni, ad esempio, hanno accesso solo ad un’ora di gioco al giorno sui titoli più di punta, come il moba mobile Honor of Kings, mentre gli adolescenti dai 12 ai 18 anni due ore di gioco in media.

 

 

La privacy dei videogiocatori è a rischio

Questa politica di prevenzione è in vigore da Settembre, ma recentemente ha subito un notevole sviluppo che ha fatto rizzare i peli a tutti i videogiocatori, cinesi e non: Tencent ha infatti dichiarato che si servirà dei database della polizia per ottenere informazioni aggiuntive e dettagliate sui consumatori dei suoi giochi, per regolarizzare ancor di più i blocchi orari.

La compagnia ha dichiarato, tramite i loro canali social ufficiali, che questa misura aiuterà notevolmente a sensibilizzare i giovani nei confronti della dipendenza, facendo apprezzare di più uno stile di vita sano ed equilibrato privo di dipendenze.

Nonostante il nobile ideale dietro, il provvedimento equivale ad un notevole rallentamento nello sviluppo di qualsiasi videogioco in Cina, poiché il governo deve sviluppare un nuovo sistema di rating e distribuzione adeguato.

Anche gli acquisti in app di determinati videogiochi di punta, come il sopracitato Honor of Kings, sono stati temporaneamente bloccati per lo stesso motivo.

La prima reazione a questa manovra è stata quella economica: Tencent ha perso un devastante 28% di valore in borsa su tutto il 2018, preannunciando una non rosea risposta da parte dei consumatori, decisamente contrari a farsi spiare dalle autorità per una semplice partita al cellulare.

This post was published on 6 Novembre 2018 18:22

Riccardo Liberati

Classe 1997, cresciuto immerso dai libri, cartoni e videogiochi, ho sempre desiderato e provato fin dalla tenera età a creare storie fantasiose che rendessero un po' più brillante la mia vita monotona. Ho trascorso l'infanzia in solitaria, giocando a quanti più titoli possibili, spaziando dai vecchi J-RPG di Square Enix fino ai più violenti sparatutto su PC, non disdegnando nel frattempo RTS, platform e giochi di corse automobilistiche. Alle superiori riesco finalmente ad aprirmi e a trovare dei compagni con i miei stessi gusti e sogni, e capisco che non amo tanto i videogiochi, quanto la cultura ed i messaggi dietro di essi, gli stessi che ho sempre trovato nei libri, film e qualsiasi altro tipo di medium artistico. Inizio a lottare per questo concetto scrivendo all'impazzata ed accrescendo la mia cultura ancor di più, sia attraverso la scuola che attraverso gli incontri e le persone d'ogni giorno. Questo bel sogno finisce con l'arrivo all'università, periodo peggio di qualsiasi film horror che abbia mai visto e che mi costringe a mollare tutto e rifugiarmi nella mia Fortezza della Solitudine per tre anni, perdendo interesse e linfa vitale per qualsiasi cosa. Nel frattempo ho lavorato in numerosi settori, dall'aiuto vendita al libraio al tutor privato, e nel 2018 inizio a scrivere per Player.it, il mio primo incarico ufficiale come giornalista videoludico e che mi ha formato moltissimo sia nell'ambito dei videogiochi che in quello della scrittura basilare. Oggi ho ripreso a studiare grazie alla scelta repentina ed irrazionale di iscrivermi alla Scuola Holden di Torino, luogo da cui vi scrivo, abbandonando casa per la prima volta ed il luogo natale di ogni mio piccolo successo e grande fallimento. La mia speranza? Quella di poter riuscire a trovare una strada ben delineata, facendo quello che mi piace fare senza dovermi sottomettere a nessuno

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