La NASA ha impiegato 3 mesi per aprire un “barattolo spaziale”: ecco cosa contiene

nasa apre un barattolo spaziale

Il rischio di contaminare il contenuto ha reso necessarie estreme misure precauzionali.

Quanto si può essere delicati per aprire un barattolo? La NASA ha probabilmente infranto ogni record di pignoleria impiegando ben 3 mesi di tempo prima di riuscire ad effettuare con successo una delicatissima operazione di apertura di un contenitore, ma ne è valsa la pena: all’interno c’era “il materiale più raro che abbiamo mai visto sul nostro pianeta”. Per capire di cosa si tratti dobbiamo tornare al 2016, anno di avvio della missione del dispositivo spaziale OSIRIS-REx.

All’asteroide e ritorno

La capsula di contenimento di OSIRIS-REx appena atterrata al termine della sua missione spaziale. La NASA ha impiegato tre mesi per estrarne il contenuto in modo sicuro [credit: NASA/Keegan Barber]
La capsula di contenimento di OSIRIS-REx appena atterrata al termine della sua missione spaziale. La NASA ha impiegato tre mesi per estrarne il contenuto in modo sicuro [credit: NASA/Keegan Barber]

OSIRIS-REx sta per Origins, Spectral Interpretation, Resource Identification, and Security – Regolith Explorer, ed è un veicolo spaziale lanciato in orbita dalla NASA l’8 settembre 2016 con una missione precisa: atterrare sull’asteroide Bennu, prelevare un campione dalla sua superficie e riportarlo sulla Terra. Dopo due anni di viaggio di andata, il 3 dicembre 2018 OSIRIS-REx è atterrato con successo sulla superficie dell’asteroide, ma giusto per il tempo di innescare una piccola carica esplosiva, che ha alzato un pulviscolo di materiali dalla superficie del corpo celeste, di cui OSIRI-REx ha prelevato dei campioni. Dopo averne esplorato in lungo e in largo la superficie da una debita distanza di sicurezza, trasmettendo informazioni preziose al comando terrestre in merito alla sua conformazione e composizione, il 10 maggio 2021 OSIRIS-REx è decollato da Bennu alla volta del nostro pianeta, su cui è ri-atterrato sano e salvo lo scorso 24 settembre 2023, con in pancia il prezioso carico extraterrestre.

Si è trattato della prima missione mai eseguita di prelievo di un campione da un asteroide e del suo recapito sul nostro pianeta. Lo scopo della missione, guidata da un pool di scienziati dell’Università dell’Arizona, potrà darci maggiori informazioni circa le fasi iniziali della nascita del sistema solare (in virtù dei depositi minerali idrotermali individuati sulla sua superficie) e quindi aiutarci a comprendere meglio l’ambiente e le contingente che hanno favorito la nascita (o comunque in cui si è manifestata per la prima e unica volta documentata) della vita organica nell’universo, questo perché Bennu è pieno di carbonio, elemento essenziale per lo sviluppo della stessa.

Ovviamente non è di secondaria importanza la mole di informazioni che potremo ricavare rispetto alla composizione e ai comportamenti degli asteroidi, anche rispetto alla prevenzione di futuri rischi di impatti accidentali col nostro pianeta. La missione è riuscita a raccogliere oltre 2 once (circa 60 grammi) di materiale extraterrestre proveniente dalla superficie di Bennu, e al momento del rientro in atmosfera terrestre lo scorso settembre, il modulo contenente il campione si è staccato dal corpo principale di OSIRIS-REx per paracadutarsi nel deserto dello Utah, dove è stato localizzato dagli scienziati americani.

Qui si è però creato un piccolo intoppo che ha richiesto la creazione di strumenti ad hoc per essere risolto: la NASA ha dovuto infatti sviluppare una procedura specifica per aprire in modo sicuro il contenitore spaziale, riducendo al minimo il rischio di contaminazione del prezioso carico, specialmente nella delicata fase di rimozione delle viti di fissaggio. Del resto la missione è costata 800 milioni di dollari, quindi è il caso di andarci cauti!

Piano… piano!

Polvere extraterrestre dell'asteroide Bennu depositata sul tappo bel "barattolo spaziale"
Polvere extraterrestre dell’asteroide Bennu depositata sul tappo bel “barattolo spaziale” [Credit: NASA / Erika Blumenfeld / Joseph Aebersold]

Un articolo di Mashable ha illustrato il lungo e travagliato processo che, in circa tre mesi di lavoro, ha portato alla messa a punto di una metodologia sicura di prelievo del campione alieno dall’interno del “barattolo spaziale”. È la prima volta dai tempi delle missioni lunari Apollo tra il ’69 e il ’72 che non si portavano sulla terra campioni di materiale extraterrestre. I lavori di apertura, iniziati di gran lena, si sono bruscamente interrotti a metà ottobre quando gli scienziati si sono accorti che 2 dei 35 elementi di fissaggio del contenitore non potevano essere aperti con gli strumenti che avevano a disposizione senza il rischio concreto di contaminare il contenuto stesso del vascello. La NASA ha quindi messo a punto specifici strumenti “chirurgici”, realizzati con una particolare lega di acciaio inossidabile e a-magnetico, e l’intera operazione di apertura si è svolta all’interno della cosiddetta glovebox, ovvero quegli involucri di materiale plastico trasparente nel quale gli scienziati operano dall’esterno mantenendo sterile l’ambiente interno.

Il peso complessivo del materiale finora estratto supera le 2,5 once, oltre le più rosee aspettative della stessa NASA, che ha già inviato piccole parti del campione a vari istituti di analisi in giro per il mondo. Ovviamente c’è grande attesa per i risultati delle analisi di questi materiali, operazioni che richiederanno sicuramente molto tempo ed esami accurati. Chissà che non ne venga fuori qualche materiale sconosciuto, o addirittura tracce di vita organica proveniente da chissà dove! La speranza è soprattutto quella che nel campione raccolto ci siano tracce di quei depositi minerali idrotermali che in base agli studi scientifici potrebbero offrire delle similitudini rispetto ai depositi simili presenti sulla dorsale oceanica della Terra. Se così fosse, sarebbe lecito supporre che alcuni dei processi geologici occorsi sul nostro pianeta si siano replicati anche altre volte, rendendo ancor più concreta e verosimile l’ipotesi di non essere soli nell’universo.