Rotola qua, che rotola di là, anche questa volta Bandai Namco è riuscita a portare avanti uno dei brand di cui il mondo dei videogiochi avrebbe più bisogno, giusto per ricordare a un pubblico hardcore sempre più diluito di come esistano videogiochi completamente votati all’aspetto esperienziale dell’attività ludica. Once Upon A Katamari è il settimo capitolo della saga di Katamari Damacy, partorita dalla mente gentilissima di Keita Takahashi e poi continuata da Bandai Namco passando le redini dello sviluppo a Business Unit/Software House diverse durante il corso degli anni. OUAK è il primo capitolo completamente nuovo a venir sviluppato da oltre quattordici anni, un tempo molto importante dato dal fatto che dal 2011 nessuna nuova propaggine del brand aveva visto la luce.
Commercialmente parlando Bandai Namco è però pregna della consapevolezza di come ci sia un fandom già interessato a un eventuale nuovo gioco, complici anche i decenti risultati commerciali derivanti da Katamari Damacy Reroll e We <3 Katamari Reroll +, due versioni rimasterizzate rispettivamente del primo e secondo capitolo che hanno propagato il verbo del principe delle stelle e di suo padre su tutte le console moderne, facendo scoprire uno degli esperimenti ludici più felici dell’epoca Playstation 2 a un pubblico di vecchi e nuovi giocatori, tutti accomunati dalla voglia di fare esperienze intriganti in un contesto videoludico sempre più lontano da quello che ha permesso all’autore Giapponese Takahashi di dire la sua su come DOVESSE essere un videogioco.
A quattordici anni dall’ultimo capitolo, insomma, Once Upon A Katamari torna sulle nostre console rotolando e lo fa in maniera incredibilmente capace, con un capitolo che va parzialmente a rompere le regole intagliate nelle precedenti iterazioni della saga con un’efficacia sorprendente.
L’idea di base è sempre la stessa: Il re di tutto il cosmo, come al solito, finisce per distruggere l’universo per come lo conosciamo noi a seguito dei suoi irrisolti problemi di adulto disfunzionale; a questo giro è stato capace di portare il caos semplicemente destabilizzando il contenuto di una pergamena cosmica, quest’ultima eiettata oltre l’atmosfera e responsabile della distruzione della terra. Come al solito starà a suo figlio, il nostro amatissimo e verdissimo principe, salvare capra e cavoli armato di Katamari, arrotolando qualsiasi cosa durante il corso dell’avventura.
Come al solito la trama è la classica scusante necessario per mettere assieme una qualche motivazione di fondo tale da giustificare i viaggi del nostro principino e della sua real famiglia in giro per l’universo; qui le cose sono leggermente diverse in quanto Once Upon A Katamari basa il centro della sua varietà sull’idea che, per poter riparare la pergamena, i nostri devono soddisfare la richieste di essere viventi sparsi lungo il tessuto spaziotemporale, in una forbice che va dalla preistoria più assoluta al presente.
Come sempre a farla da padrone nell’esperienza di RENGAME (la software house dietro questo specifico capitolo) è il gameplay della saga: un videogioco difficilmente incasellabile in un genere definito e più figlio di quei colpi di coda figli dell’epoca Playstation 2, in cui i bassi costi di sviluppo dei videogiochi portavano a una sperimentazione ricca e affascinante.
In Once Upon A Katamari si devono arrotolare oggetti di dimensioni inferiori o pari a quelli della propria palla Katamari, così da far ingrandire quest’ultima allargando così il numero di oggetti che è possibile inglobare; ognuno degli oltre quaranta livelli (!!!) di cui è composto il gioco chiede al giocatore di inglobare oggetti seguendo particolari criteri: fino a raggiungere determinate dimensioni, quanto più grande possibile entro un dato quantitativo di tempo, raccogliendo specifiche tipologie di oggetti o soddisfando richieste estremamente specifiche, vedi il raccogliere l’orso o la mucca più grande in un livello pieno di mucche e orsi o raggiungere un determinato grado di dolcezza, facendo attenzione a non raccogliere oggetti amari o disgustosi.
Il lavoro fatto da RENGAME in tal senso è encomiabile: Once Upon A Katamari è di certo il capitolo più strutturato e ragionato dal punto di vista del mero level design, con mappe molto grandi, piene di oggetti e con tutta una serie di ragionamenti da fare per poterle completare con una valutazione elevata. Questo potenziamento del level design è accompagnato anche da un paio di piccole variazioni in ambito game design, con da una parte l’accesso a un sistema di controllo semplificato che permette al giocatore di far rotolare il katamari utilizzando soltanto l’analogico sinistro (invece di entrambi) e dall’altra parte tutta una serie di potenziamenti che si possono utilizzare con la pressione di uno dei grilletti.
Questi potenziamenti permettono al katamari di diventare magnetico, lo rendono estremamente veloce, bloccano il tempo e così via, diventando indispensabili per poter completare i livelli con il massimo grado di valutazione possibile. Il passo avanti rispetto al passato è quindi netto, sebbene stiamo parlando di un videogioco che è diverso nel suo nerbo rispetto le iterazioni “tradizionali” della saga, più incentrato in un gameplay quasi completamente esperienziale invece che performativo (in quanto level design e game design non spingevano il giocatore all’ottenimento della massima valutazione, bensì gli lasciavano spazio di manovra su come completare i singoli livelli).
Gli appassionati di “vecchia data” magari potranno storcere il naso, ma noi siamo abbastanza convinti nel dirvi di come questo genere di introduzione all’interno dell’esperienza di gioco sia molto più positiva che negativa, di fatto avvicinando l’esperienza ai criteri moderni dando anche modo ai designer di costruire una MONTAGNA di contenuti.
Agli oltre quaranta livelli del gioco base si aggiunge anche la presenza del Katamari Ball, ovvero una modalità multigiocatore piuttosto interessante che potrebbe effettivamente dare modo alla community del gioco di interagire per la prima volta completamente da remoto. Questa modalità prevede una sfida tra più katamari sulla stessa mappa di gioco, con l’obbiettivo di raccogliere specifici oggetti entro limiti di tempo per poi ritornare alle dimensioni originali dopo aver accumulato punteggio (quest’ultimo determinato dal tipo di oggetti raccolto e dalle dimensioni finali della palla nel “round); una scelta intrigante, che per molti non rappresenterà granché ma che è una solida scelta contenutistica operata dalla software house dietro al progetto.
Once Upon A Katamari è quindi un titolo parzialmente nuovo dal punto di vista ludico, rimanendo però radicato nelle sue origini dal punto di vista grafico e stilistico. L’art direction continua a mescolare il massimalismo più assurdo con una grafica stilizzata, mescolando texture piatte a design surreali e assurdi, con animazioni estremamente nervose ma anche un grande senso del divertimento nel come mettere insieme tutti quanti i vari pezzetti che costruiscono il mondo di gioco.
Ancora oggi la combinazione di “normalità” e “anormalità” messa assieme nei livelli di gioco è incredibile, con luoghi familiarissimi a chiunque abbia esperienza di contenuti multimediali ma caratterizzati da un tocco unico costante: di certo è respingente per chi cerca mondi realistici, ma è il gioco stesso a essere respingente nei confronti di chi non è disposto a fare spazio nel suo cuore.
Il discorso si potrebbe ripetere in maniera praticamente identica dal punto di vista musicale, sebbene qui la valutazione si fa più soggettiva. Questo perché le canzoni del nuovo Once Upon A Katamari, come è tradizione per la serie, vanno un po’ da tutte le parti e puntano costantemente in direzioni opposte tra loro, mescolando all’interno di un mondo completamente assurdo k-pop, soul, blues, glitch, disco music e chi più ne ha più ne metta. La cura posta da Bandai Namco e Rengames è enorme e questa si può esperire in prima persona semplicemente ascoltando alcune delle assurde canzoni incluse all’interno dell’avventura, per quanto ci siano sembrati mancare gli instant-classic che hanno caratterizzato almeno il primo capitolo della saga; piccola nota a margine: buona parte dei brani sono stati prodotti e realizzati da MONACA, la casa di produzione con a capo il buon Keichi Okabe, che gli appassionati di videogiochi ricorderanno per essere il mastermind dietro le incredibili colonne sonore di NieR.
Once Upon A Katamari è uno di quei videogiochi che ci ricordano COSA possono essere i videogiochi e che speriamo abbia abbastanza successo da avere un seguito o forse anche altri duecento. In un industria tristemente votata al profitto a ogni costo, dove inseguire i trend e sottostare ai reparti di marketing, OUAK fa vedere come sia possibile iterare su idee vecchie di vent’anni in maniera ancora efficace, offrendo comunque un’esperienza gradevole e intrigante ai giocatori. Non siamo sicuri che a Keita Takahashi piaccia vedere la sua creatura venir usata ancora e ancora, siamo invece sicuri che ai giocatori piaccia e alla fine, considerato il mondo terribile in cui viviamo, è bene così.
Voto finale: 8
This post was published on 22 Ottobre 2025 17:00
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