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Recensioni

Silent Hill f ci porta alla scoperta delle mutazioni e delle fioriture del survival horror: la nostra recensione su PS5

Parlare videoludicamente di SIlent Hill f – primo episodio della serie principale Konami da Downpour (ben 13 anni fa), nonché primo a cambiare radicalmente setting – significa parlare di un tema che ritroviamo in qualche modo anche all’interno del gioco stesso, persino ancorato all’interno del suo titolo: la fioritura, la trasformazione di qualcosa da a a b dopo un processo complesso.

Come il fiore, ciclicamente, nasce facendo prendere alla pianta una forma completamente nuova, Silent Hill f  sembra il frutto di un processo evolutivo che tra mille problemi ha portato di nuovo sulle scene la saga horror più “filosofica” e discussa della storia del medium (forse più di Resident Evil) . Ebbene, in tutte le fioriture o mutazioni di questo tipo troviamo una costante: si abbandona almeno in parte la forma precedente, lasciando per strada qualcosa, per rinnovarsi e continuare a vivere, almeno finché non avviene un’altra mutazione, oppure non si appassisce.

Il modello di gioco proposto da Silent Hill f, con le sue tante novità, è destinato semplicemente ad appassire dopo una fugace comparsa, o riuscirà a dare lunga e vigorosa vita a un brand tanto amato (e travagliato)?

Cerchiamo di capirlo insieme.

Silent Hill f

Siamo ancora a Silent Hill?

Non prendiamoci in giro: la domanda che molti di noi si sono fatti a partire dal primissimo trailer del gioco, presentato nella clamorosa Silent Hill Transmission dell’Ottobre 2022, è stata Ma questo è ancora Silent Hill?”.

Se il nuovo episodio di una serie ludica così famosa e consolidata cambia radicalmente il setting di appartenenza, trasformandola a naso da qualcosa di fortemente radicato nell’american gothic a puro folk horror legato all’immaginario nipponico, quel nuovo episodio può ancora definirsi appartenente alla tradizione in seno alla quale sono cresciuti tanti giocatori?

Vi vedo, non fate i vaghi: tanti di voi si son fatti questa domanda. 

Tuttavia, i più fan più attenti dell’horror, geek dei film di John Carpenter o dei romanzi di Clive Barker (come il sottoscritto) potrebbero aver risposto molte volte alle vostre perplessità facendo presente come, nonostante sia ambientato di una remota cittadina degli U.S.A. e la sua messa in scena poggi sulla rielaborazione dell’immaginario gotico occidentale, Silent Hill sia forse il brand videoludico più j-horror che si possa trovare

L’orrore di Silent Hill è sempre stato un orrore estremamente giapponese, perché ancorato alle paure intime dei protagonisti, all’impatto psicologico dei traumi, delle scelte, dei piccoli orrori quotidiani vissuti sulla propria pelle, puntualmente solo amplificati da qualcosa di soprannaturale.

Tutto questo, in Silent Hill f, c’è, è presente, è tangibile.

Quindi, fine della discussione?

Neanche per sogno: il discorso “mutamento genetico” è tutt’altro che risolto, e la domanda “Siamo ancora a Silent Hill?” non ha una risposta così certa se guardiamo a un comparto dell’opera – centrale – ovvero quello strettamente ludico.

Mutazione parziale – Parte 1: affrontare le proprie paure

Nonostante si parli di una serie abbastanza lunga e in fondo costituita da episodi hanno ben poco in comune tra di loro in termini di valori produttivi, esiti e persino della mano che li ha prodotti (eccezion fatta per i primi tre episodi, tutti firmati Team Silent), il modello di gameplay della serie Konami è estremamente riconoscibile: lunghi e complessi livelli incentrati sull’esplorazione e sulla risoluzione di enigmi di difficoltà varia (anche con una vasta componente di backtracking), alternati a fight scenes in cui il nostro alter-ego  – quasi sempre un poveraccio di cittadino comune incapace a momenti di dare un pugno se provocato – deve abbattere creature mostruose facendo affidamento su armi comuni raccolte per strada.

Una formula che amalgamava alla perfezione i due elementi cardini dell’esperienza, che facevano di Silent Hill un pieno survival horror: né troppo action, né troppo gioco di ragionamento, con la paura a fare da collante tra le due dimensioni.

Ora, anche in Silent Hill f troviamo tutto ciò… ma con quelle che non esiterei a definire delle brutali innovazioni. E, se avete seguito lo sviluppo, sapete a cosa mi riferisco: in Silent Hill f il combattimento ha un ruolo estremamente centrale, tanto per via della frequenza con la quale fa capolino nei livelli quanto per le modalità con le quali è stato implementato.

Mutazione parziale – Parte 1: affrontare le proprie paure

La scena tipica è questa: siete tra i vicoli del cupo villaggio protagonista del gioco, magari state osservando i tanti dettagli dell’architettura, un manifesto, la nebbia, o forse state studiando per risolvere un enigma, quando un mostro vi aggredisce con un assalto violento. E, quando entrate in combattimento per difendervi, non dovete solamente calcolare in fretta come gestire attacchi pesanti e attacchi leggeri, ma anche star bene attenti a muovervi senza sprecare troppa stamina, una caratteristica del PG in realtà già presente in alcuni Silent Hill, ma che qui assume una rilevanza molto maggiore, in quanto essa viene utilizzata sia quando sferriamo colpi che quando compiamo una schivata (un saltino all’indietro che ci permette di evitare i fendenti avversari, abbastanza utile).

Mutazione parziale – Parte 1: affrontare le proprie paure

Stendiamo i nemici (spesso due o più, spesso anche grandi… quasi della taglia che troveremmo davvero in un action puro), ricominciamo l’esplorazione, entriamo in una nuova zona… e qui dobbiamo aver fortuna: o ci ritroviamo in una piccola sacca di calma caratterizzata da un enigma o da una fase di indagine, oppure dovremo affrontare una nuova orda. L’impressione è che la vera mutazione di Silent Hill f sia tutta qui: il paradigma della serie è presente, ma nell’asse “esplorazione-enigma-azione” l’ultimo elemento è oggettivamente più presente.

Vorrei esser chiaro: non mi sentirei di dire che Silent Hill f trasformi la saga da survival horror a action-horror, poiché sarebbe ingiusto sottovalutare i tanti enigmi presenti nelle aree (alcuni dei quali davvero interessanti), e soprattutto la sincera inquietudine che proveremo nel vagare tra gli spettrali ambienti della città di Ebisugaoka, classica cittadina rurale del Giappone post-bellico che non ha davvero nulla da invidiare alla Silent Hill originaria.

Detto questo, tuttavia, Silent Hill f risulta un’esperienza molto frenetica, basata sullo scontro. Si potrebbe dire che proprio queste fasi contribuiscano in modo sostanziale alla cupezza dell’avventura, alla tensione, alla costante impressione di essere in pericolo, ma più di una volta, giocando, ho avuto la sensazione spiacevole che il combattimento spezzasse e soffocasse troppo la mia voglia di esplorare, scavare nei segreti della città, o capire quale fosse la strada migliore per raggiungere il punto B partendo dal punto A. 

Mutazione parziale – Parte 1: affrontare le proprie paure

E tutto ciò tenendo presente che proprio l’esplorazione si è rivelata molto stimolante grazie a un level design bello, ispirato, “aperto” come nella miglior tradizione della serie, nonché alle sopra citate ambientazioni: le aree sono belle e appaganti da percorrere, il rischio di perdersi diventa un fattore di adrenalina, e ciò, unito con la possibilità di trovare alcune flottiglie di mostri, rende comunque il tasso di immersione molto alto. A rendere ancor più solida l’impressione del mutamento verso dinamiche molto meno ancorate al survival horror, troviamo infine la dinamica dei potenziamenti del PG: i savepoint, sparsi nella mappa come da tradizione della serie, prendono la forma di piccoli altari shintoisti che permettono al giocatore di “potenziare” alcuni parametri del personaggio attraverso l’offerta di doni (ovvero risorse che troveremo esplorando in giro, come cibo od oggetti rituali). Avete letto bene: in questo Silent Hill il vostro alter ego potrà aumentare la vitalità massima, la salute mentale, persino la potenza degli attacchi, sviluppando di volta in volta diverse possibilità tattiche per superare gli ostacoli.

Una novità che probabilmente farà rizzare le orecchie in modo non propriamente positivo ai puristi, ma che oggettivamente ha un senso nell’ottica del gioco e degli obiettivi che si pone.

Bene, queste novità vi hanno disturbato, affascinato, resi incerti o innamorati del gioco? 

Fidatevi, sotto il profilo gameplay ci sono novità ancora più impattanti… ma qui ci fermiamo, ammettendo che siamo sempre a rischio spoiler.

Mutazione parziale – Parte 2: una storia simile ma diversa

Ma, parliamoci ancora una volta chiaro: parte di voi non è qui per sapere solo com’è il gameplay, o se le voci sul “Silent Hill soulslike” sono vere, no?

Mutazione parziale – Parte 2: una storia simile ma diversa

No, siamo sinceri, molti di voi, magari vecchi fan della serie (per non dire cultori del brand), vorrebbero sapere molto semplicemente se questo Silent Hill è valido da un punto di vista in cui la saga è sempre stata regina: la storia, la lore, l’ambientazione, la mitologia dell’orrore. E anche qui, ragazzi, il discorso è complicato. Partiamo dal riconoscere il gap oggettivo: rispetto agli altri capitoli della serie, quella di Silent Hill f è la storia di un’altra cittadina, di un altro tempo (gli anni ‘60, il florido ma complesso dopoguerra giapponese), altri… altri tipi di orrore.

In fondo, come detto dall’autore della sceneggiatura RYUKISHI07 (scrittore e sceneggiatore conosciuto per visual novel, manga e romanzi), si tratta di una sorta di spin-off, potenzialmente ambientato nello stesso mondo, ma senza nessun collegamento con la Silent Hill del Maine. 

Detto ciò, però, ancora una volta il fil-rouge tra questo e gli altri giochi della serie continua a esserci, almeno dal punto di vista concettuale, per lo meno se ci rifacciamo a una certa definizione della saga, ovvero:

“Silent Hill è una serie incentrata su persone che hanno ‘ferite nell’anima’, e che a causa di esse vengono attirate e bloccate in una cittadina di provincia infestata.”

Ecco, se prendiamo quest’architettura standard, f è a tutti gli effetti un Silent Hill: nei panni di Hinako, una liceale del villaggio di Ebisugaoka, dovremo sopravvivere all’invasione di pericolose entità soprannaturali che invadono letteralmente il paese all’arrivo di una fitta e spessa nebbia, un giorno come l’altro. Hinako è una ragazza risoluta e tenace, molto legata a un gruppo di coetanei e compagni di scuola, ma soprattutto viene da una famiglia disfunzionale (il padre è alcolista, la madre sottomessa al marito, la sorella maggiore si è sposata, probabilmente per scappare dalla potestà paterna).

Quando l’orrore si scatena, non c’è certo scampo: dovrà farsi coraggio e combattere per tornare a casa tutta intera, ma dovrà anche fare i conti con tutta una serie di traumi che coinvolgono lei e i suoi cari e che probabilmente l’hanno segnata.

Uno spunto narrativo abbastanza “innovativo” all’interno del canone della serie, poiché di solito essi sono strutturati sul pov di uno straniero che deve farsi largo di un ambiente sconosciuto e ostile.

Mutazione parziale – Parte 2: una storia simile ma diversa

Qui l’assunto è praticamente quello de La Nebbia di Stephen King, molto più classico e forse depotenziato rispetto a tutto quell’alone di mistero che circondava i “viaggi all’inferno” di Henry Mason o James Sutherland. Manca anche, forse, quella componente di comprimari fatta di figure fortemente legate all’ambientazione e in grado di introdurci ai suoi misteri (penso ai personaggi di Angela, Eddie e Laura, per non parlare di Maria/Mary, in Silent Hill 2). Per larga parte del racconto, tutta la narrazione è molto più concentrata sulla protagonista, sui traumi irrisolti, sull’impatto che hanno su di lei, anche se l’idea della corrispondenza tra “orrore interiore” e “orrore all’esterno” è sempre presente.

L’effetto d’insieme è forse un pochino meno potente rispetto ai classici della serie, manca un po’ di significativa “backstory dei luoghi” veicolata dalla narrativa ambientale o dagli incontri con i personaggi, ma il gioco riesce a inquietare abbastanza grazie allo scavo psicologico, ai sottotesti, ai detti-non-detti: tutti quegli elementi che, in fondo, fanno di Silent Hill ciò che è.

Insomma, forse siamo dalla complessità di certe trame del passato, ma non di fronte a uno sconvolgimento della filosofia di base.

Il che, se permettete, è tanta roba.

Orrore e bellezza: una confezione sontuosa

Da un punto di vista grafico e visivo, Silent Hill f è un titolo che posa tutta quanta la sua forza sulla volontà di restituire al giocatore uno di quei quadri d’orrore, spettrali, crepuscolari e magari persino malinconici, ai quali la serie ci ha abituati e, complice l’alone di mistero che circonda Ebisugaoka (tipica cittadina rurale fatta di tante case tradizionali affastellate lungo stradine strette e risaie), il bersaglio è stato centrato alla grande.

Grazie a un bel lavoro su texture, effetti visivi, elementi scenici e level design, la navigazione dei livelli si rivela estremamente immersiva (leggi: spaventosa). Il vero fiore all’occhiello è però il sapiente utilizzo della palette, con scale di grigio/blu che caratterizzano la cittadina durante le sezioni “reali” e altre, sul rosso, per le fasi più “oniriche” (e chi conosce la mitologia di Silent Hill potrebbe capire a che tipo di sezioni mi riferisco).

Orrore e bellezza: una confezione sontuosa

Il risultato è funzionale e particolarmente d’effetto: ogni sfumatura, ogni fiamma di una candela solitaria su un tavolo, ogni rivolo di nebbia, assume quasi un significato allegorico e in grado di tenere sempre alta l’atmosfera. Di contro, i personaggi non brillano come dovrebbero; forse a causa delle scelte stilistiche, forse per caratteristiche tecniche di UE5, i modelli sembrano spenti, poco curati e in generale troppo “plasticosi” e senza profondità espressiva, come se tutti gli sforzi di concept e rappresentazione fossero stati concentrati altrove; il risultato è una certa impressione di inespressività, che grava non poco sull’immedesimazione e il “legame” con il giocatore. Qualcuno potrebbe obiettare che un po’ di character design “alieno” è stato un elemento chiave nella costruzione di personaggi come James o Maria, tuttavia i personaggi di f  mancano di quella epicità che accompagnava i loro omologhi anche nelle primissime ore di gioco di Silent Hill 2: se la volontà era quello di pennellarli come figure “weird”, non mi sento di dire che l’obiettivo sia stato propriamente centrato.

Molto buono, invece, l’apparato tecnico in sé, che riesce a mantenere alte le prestazioni su PS5 non solo mantenendo i 60 fps canonici, ma non mostrando rallentamenti, glitch, o elementi problematici in grado di poter risultare frustranti anche nelle fasi più concitate (e, come detto più su, queste ultime sono davvero tante!).

Poco da dire sul sonoro; come nei migliori Silent Hill by Akira Yamaoka, colonna sonora ed effetti si servono a vicenda creando una sinfonia dell’orrore perfetta, resa ancor più grande dal lavoro sulle sonorità tipicamente nipponiche del gioco. Non avremo quindi i suoi disturbanti e “crudi” dei giochi precedenti, ma una solida soundtrack dal sapore orientale estremamente inquieta e desolata.

Insomma, tanto di cappello: pur essendoci degli elementi altalenanti, come quelli legati alla rappresentazione dei personaggi, Silent Hill f riesce a restituire uno straordinario scenario da folk-horror nipponico, in grado di fare la felicità di tutti coloro che magari seguono il survival horror da anni e sentono la mancanza di serie come Siren, o sono appassionati di show come il bel Gannibal di Disney+ (amate il genere? Recuperatelo!), e la sfida non era certo facile

Conclusioni

Silent Hill f rappresenta un esperimento complesso e che farà discutere, un crocevia tra tradizione survival horror rispettata con buona dedizione e nuove dinamiche che forse mettono troppo al centro l’azione, al tempo stesso tattica e frenetica. Tuttavia, preso come esempio sé stante di videogioco survival horror, senza tener troppo in considerazione la sua genealogia, riesce come prodotto robusto, articolato e condotto con mano ferma, perfetto per la spooky season o anche solo per saziare la propria fame di orrori asiatici. Voto finale: 8.0.

This post was published on 22 Settembre 2025 9:00

Fabio Antinucci

Copywriter isituzionale di giorno, scrittore, giocatore e ruolatore di notte; amo le storie a prescindere dalla forma. Cresciuto a suon di Poe, Lovecraft, King e film horror, mi piace scandagliare mondi immaginari creando percorsi per esplorarli di parola in parola, scoprendone i legami con letteratura e cinema. Quando serve content creator, quando non dovrei scrivo romanzi, racconti, librigame e avventure GDR. Mi potete trovare anche su www.fabioantinucci.it con una newsletter dedicata al fantastico.

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