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Naughty Dog e il crunch time, una storia infinita

Il termine crunch time abbiamo imparato a conoscerlo molto bene in questi anni e non si identifica come un fenomeno esclusivo del mondo dei videogiochi, tuttavia sempre più spesso sono proprio gli uffici di un team di sviluppo di videogiochi a nascondere insidie di questo tipo. Parliamoci chiaro, i ritmi della produzione videoludica si sono alzati in maniera vertiginosa, i publisher non ammettono sforamenti che possano mandare in aria i piani aziendali e così non è raro, per chi lavora allo sviluppo di un tripla A, ma non è esente dal problema l’industria indie, dover fare turni massacranti per riuscire a portarlo a termine prima della scadenza.

Naughty Dog è senza dubbio una delle migliori software house oggi esistenti, ma per diventare ciò che si è bisogna fare sacrifici. Un videogioco come The Last of Us non si crea dall’oggi al domani e, nonostante ci siano fior fior di professionisti nel team, che sanno come organizzare un lavoro di questo tipo, lo stress e la pressione possono giocare brutti scherzi dal punto di vista mentale e fisico. Da un report pubblicato da Jason Schreier di Kotaku emerge una realtà che a volte si fa finta di non conoscere, perché non si vuole ammettere che anche lavorare con i videogiochi può diventare un’esperienza brutale.

Da uno stralcio del rapporto possiamo intendere che alcune “fughe” di ex membri dello staff di Naughty Dog siano state causate proprio dall’ambiente di lavoro:

Molti che hanno lavorato per Naughty Dog nel corso degli anni lo descrivono come un ambiente che può essere contemporaneamente il posto di lavoro migliore e peggiore del mondo. Lavorare in Naughty Dog significa progettare giochi amati e acclamati dalla critica insieme ad artisti e ingegneri che sono considerati tra i più grandi nei loro campi. Ma per molte di quelle stesse persone, significa anche lavorare nei fine settimana quando lo studio è in modalità ‘crunch time’, sacrificando la loro salute, relazioni e vita personale presso l’altare del gioco.

A conferma di ciò che viene riportato, arriva un tweet di Jonathan Cooper, il quale si occupava delle animazioni nei giochi di Naughty Dog. Nel post, Cooper afferma che spesso e volentieri lo staff era costretto a fermarsi per alcune settimane per riprendersi dalla stanchezza. Addirittura, ci racconta di una persona che ha avuto bisogno di vere e proprie cure mediche e di passare del tempo in ospedale.

Le accuse non finiscono qui. Proprio sulla capacità del team si scaglia Cooper affermando che con un team più anziano, formato da persone più pronte e preparate The Last of Us: Part II avrebbe visto la luce almeno un anno fa. Ne esce fuori un ritratto poco esaltante, sul quale Neil Druckmann, vicepresidente della società, non si è espresso in modo diretto. Egli, infatti, ha pubblicato un tweet in cui incoraggia i suoi animatori decantandoli come i migliori in circolazione. Un mero contentino per non scendere nei particolari del rapporto di Schreier? Non lo sappiamo, ma è certo che il tema del crunch time è molto delicato e non sarà facile evitare che se ne parli anche nelle generazioni future.

Con l’avvento di PS5 e Xbox Series X, gli sviluppatori hanno già parlato di creazione di mondi che prima non sarebbe stato possibile neanche immaginare. A che prezzo per la salute di chi ci lavorerà?

Ricordiamo che The Last of Us: Part II sarà rilasciato in esclusiva su PS4 il 29 maggio, a seguito di uno slittamento della prima data di uscita.

This post was published on 16 Marzo 2020 10:59

Michele Longobardi

Laureato in Lettere moderne, scopro la passione per il giornalismo quasi per caso. I videogiochi sono il mio più grande amore e così decido di coniugare le due cose. Il giornalismo videoludico diventa la mia forma finale. Per me i videogiochi sono una forma d'arte e guai a dirmi il contrario. Appassionato di tutto ciò da cui sgorga sangue: cinema horror (registi preferiti Argento e Romero), letteratura gialla e dell'orrore (autori preferiti Christie, Poe e Lovecraft) e ovviamente i videogiochi del genere (Silent Hill e Resident Evil sopra ogni cosa). Il mio videogioco preferito di sempre è Fahrenheit che ho finito un numero non precisato di volte, da lì scaturisce la mia ammirazione per tutti i lavori di David Cage. La mia "carriera" videoludica è segnata da un marchio da cui non sono mai riuscito a staccarmi: PlayStation! In circa 20 anni di gaming, ho completato più di 800 titoli.

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