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Per la Nuova Zelanda le loot box non sono gioco d’azzardo

Quello delle loot box sta diventando un caso internazionale. La bufera è scoppiata neanche troppo tempo e ha avuto come protagonista, anzi, antagonista, Electronic Arts con le sue dichiarazioni anti single player e a favore delle microtransazioni. La faccenda non si è fermata nell’orticello dei videogiocatori ma ha preso una piega da intrigo fantapolitico.

Il Belgio e l’arcipelago delle Hawaii, ad esempio, hanno dichiarato guerra alle loot box. La Commissione Gaming del Belgio ha accomunato le loot box al gioco d’azzardo e ha paventato la possibilità di renderle illegali. Anche un membro della Camera dei Rappresentanti delle Hawaii si è esposto per affermare la sua assoluta contrarietà alla diffusione delle loot box.

Altro caso eclatante è quello di Chris Lee, membro della Camera dei Rappresentanti dello Stato delle Hawaii (che politicamente è uno stato federato degli USA), che sta spingendo per emanare una legge anti microtransazioni. Arriva, però, nella giornata di oggi, una voce controcorrente: per la Nuova Zelanda le loot box non rappresentano gioco d’azzardo.

Loot box: la Nuova Zelanda le difende

Le loot box non costituiscono gioco d’azzardo, secondo il Dipartimento per gli affari interni della Nuova Zelanda.

In una lettera, Trish Millward, una responsabile del dipartimento, ha dichiarato:

Mentre il pagamento di denaro per una loot box che ha contenuto che viene determinato dal caso per molti sembra essere gioco d’azzardo, il Dipartimento è del parere che le loot box non possano soddisfare la definizione legale di gioco d’azzardo.

Millward ha anche fatto notare che le leggi neozelandesi sono molto più “morbide” da questo punto di vista. Infatti, nel paese oceanico non è illegale scommettere online con fornitori di giochi d’azzardo all’estero e, in base alla legislazione vigente, il Dipartimento non ha la possibilità di regolamentare queste ormai famigerate casse di bottino che tanto stanno facendo discutere.

Sebbene la politica neozelandese abbia reso molto chiara la sua posizione in merito, ha anche aggiunto che “continuerà a seguire la discussione internazionale in merito alle loot box”.

Il dibattito su questa meccanica abbastanza nuova nell’industria videoludica è diventato sempre più acceso e anche il Parlamento britannico è stato invitato a prendere una posizione netta e precisa.

Le linee di pensiero sono fondamentalmente due: la prima è che le loot box non costituiscono tecnicamente gioco d’azzardo secondo le attuali definizioni legali e che, quindi, c’è ben poco da questionare.

La seconda afferma in maniera decisa e convinta che esse possono essere definite scommesse o gioco d’azzardo perché il denaro è scambiato per ottenere oggetti virtuali che non sono predeterminati. Ciò che sarà disponibile in una loot box non è prevedibile, proprio come se si giocasse alla roulette. La definizione in termini legali, dunque, secondo la seconda linea di pensiero, deve essere ampliata per proteggere i bambini e gli adulti più vulnerabili che potrebbero divenire vittime della ludopatia.

This post was published on 12 Dicembre 2017 12:49

Michele Longobardi

Laureato in Lettere moderne, scopro la passione per il giornalismo quasi per caso. I videogiochi sono il mio più grande amore e così decido di coniugare le due cose. Il giornalismo videoludico diventa la mia forma finale. Per me i videogiochi sono una forma d'arte e guai a dirmi il contrario. Appassionato di tutto ciò da cui sgorga sangue: cinema horror (registi preferiti Argento e Romero), letteratura gialla e dell'orrore (autori preferiti Christie, Poe e Lovecraft) e ovviamente i videogiochi del genere (Silent Hill e Resident Evil sopra ogni cosa). Il mio videogioco preferito di sempre è Fahrenheit che ho finito un numero non precisato di volte, da lì scaturisce la mia ammirazione per tutti i lavori di David Cage. La mia "carriera" videoludica è segnata da un marchio da cui non sono mai riuscito a staccarmi: PlayStation! In circa 20 anni di gaming, ho completato più di 800 titoli.

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