Nella vita concreta, i genitori sono responsabili delle malefatte dei figli nel caso di culpa in educando o di culpa in vigilando.
Questi due particolari principi sono alla base della responsabilità civile dei genitori per gli atti illeciti dei figli minorenni. La legge è chiara. I genitori hanno un ruolo educativo e di controllo. L’articolo 2048 del Codice Civile definisce la culpa in educando come un’evidente mancanza nell’educazione impartita al figlio.
Se il ragazzo sbaglia, la colpa può essere dunque anche del genitore che non gli ha spiegato cosa significa rispettare gli altri o seguire le regole. La culpa in vigilando implica invece una manifesta mancanza di controllo sull’attività del figlio.
Ed entrambe le fattispecie possono essere applicate anche all’ambito digitale. Se, per esempio, un ragazzino commette atti di cyberbullismo, bisogna capire se i genitori gli hanno insegnato come comportarsi online. Ed è anche necessario comprendere se il genitore abbia o meno controllato i contenuti pubblicati dal figlio e impostato gli opportuni limiti sull’uso dello smartphone.
In piattaforme come YouTube, TikTok e Instagram molti minorenni sono spesso lasciati a sé stessi. Si comportano dunque senza alcun tipo di limite e finiscono così per macchiarsi di gravi colpe. Ma ora la giustizia ordinaria ha cambiato approccio. Lo dimostra un caso giudiziario che può essere definito emblematico.
Il caso riguarda un bambino di undici anni che aveva pubblicato su YouTube un video denigratorio su un coetaneo, accompagnato dalla didascalia gravemente offensiva “bambino handicappato”. L’episodio, avvenuto in Molise, durante il trasporto scolastico, ha fatto molto discutere e ha avuto pesati conseguenze sulla vittima. Al bambino offeso è stato infatti diagnosticato un disturbo post-traumatico.
La Corte d’Appello di Campobasso è stata chiamata a rivalutare il caso, dopo che il tribunale ordinario aveva già condannato il bimbo autore del video e i suoi genitori. E, alla fine del dibattimento, è arrivata la conferma della responsabilità civile dei genitori del minore. La Corte d’Appello ha infatti ordinato un risarcimento di varie migliaia di euro.
Per il danno patrimoniale, la vittima ha ottenuto un risarcimento di circa 1.300 euro, per coprire le spese documentate per supporto psicologico. Poi c’è il danno non patrimoniale stimato a circa 8.000 euro.
La sentenza si è basata sull’art. 2048 del Codice Civile, quello relativo alla responsabilità genitoriale. Secondo questo articolo, i genitori sono responsabili per gli illeciti commessi dai figli minorenni, salvo che provino di aver impartito un’educazione adeguata e aver esercitato una vigilanza efficace.
Per i giudici di Campobasso vale la presunzione di colpa. Ciò significa che la responsabilità dei genitori è presunta. Per superarla, costoro devono dimostrare di aver spiegato chiaramente al figlio tutti i rischi connessi dell’uso dei dispositivi digitali e aver imposto limiti e restrizioni concrete. Ogni genitore è poi chiamato a controllare attivamente e attentamente l’attività online del figlio.
Ma nel caso specifico la Corte ha ritenuto che i genitori non sono stati in grado di fornire prove sufficienti e concrete di aver educato o vigilato adeguatamente. La difesa si è limitata a minimizzare i fatti, senza smentirli né contestarli tempestivamente.
L’educazione digitale dei figli è dunque un obbligo giuridico. Ogni volta che un genitore che mette in mano a un figlio minorenne uno smartphone senza l’opportuno controllo o gli permette di postare liberamente contenuti online è responsabile delle sue colpe eventuali.
This post was published on 21 Settembre 2025 6:53
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