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Interviste

“Se volete creare qualcosa, create. Connettetevi con il mondo!” | Abbiamo intervistato Hideo Kojima e Yoji Shinkawa a Lucca Comics & Games 2025

L’edizione 2025 del Lucca Comics & Games si è appena conclusa. Il festival, da sempre ricco di ospiti locali e internazionali di grande spessore, quest’anno ha vissuto un momento storico: l’arrivo di Hideo Kojima e Yoji Shinkawa.
Dai, non prendiamoci in giro, alla notizia della loro presenza, in occasione del Death Stranding 2: World Strand Tour per celebrare la recente uscita del gioco, abbiamo esultato tutti.

Il leggendario game designer e il suo fidato direttore artistico, legati da oltre trent’anni di collaborazione (da Policenauts a Metal Gear Solid, fino all’attuale Death Stranding) hanno visitato insieme la capitale nerd d’Italia: Lucca.
E noi italiani li abbiamo accolti con un entusiasmo travolgente, durante i diversi incontri che hanno segnato il loro tour toscano.

Insieme ad altri colleghi giornalisti abbiamo preso parte a un incontro davvero speciale: un’intervista collettiva che Hideo Kojima e Yoji Shinkawa hanno concesso alla stampa il 1° novembre, alle 10:00, nella splendida Sala dell’Oro di Lucca.

A moderare la conversazione c’era Eva Carducci, che poneva le domande in inglese, poi tradotte all’interprete giapponese dei due artisti. Kojima e Shinkawa hanno seguito ogni intervento con curiosità e partecipazione: sono stati professionali ma hanno anche riso e scherzato. Si percepiva quanto fossero in sintonia dopo tanti anni di lavoro insieme.

Riscoprire il legame umano: la visione di Kojima tra connessioni digitali e analogiche

L’intervista è partita con una tematica che può essere considerata il cuore stesso di Death Stranding: la connessione umana in un mondo frammentato. A Kojima è stato chiesto se, in un’epoca di social network iperconnessi che spesso ci fanno sentire più soli che mai, la storia di un videogioco possa ancora ridurre la distanza tra la vita reale e l’interazione virtuale.

Kojima ha risposto tornando indietro nel tempo: nel 2000 internet nasce e si evolve, è diventato più veloce, e all’improvviso si potevano mandare SMS e comunicare in tempo reale con chiunque nel mondo. Quella connessione avrebbe dovuto essere una forza positiva. Poi però sono arrivati i social media come li conosciamo oggi: sempre più anonimi, sempre più aggressivi, con persone che “dicono quello che vogliono” e restano intrappolate in opinioni estremamente soggettive.

Nonostante questo, il game designer non si schiera contro la tecnologia, anzi: si definisce favorevole alla connessione. Ma confessa di avere nostalgia per il tipo di legame “analogico” di un tempo, e di aver voluto farlo rivivere in Death Stranding. Per questo nel gioco la connessione esiste, ma è una connessione “lenta”, asincrona: nella quale non ci si spara a vicenda facendo headshot in tempo reale, ma un sistema in cui non vedi mai gli altri giocatori dove sono adesso, bensì vedi le tracce del loro passaggio, il loro viaggio. Kojima era curioso di vedere come i giocatori avrebbero reagito ad una connessione di questo tipo.

Dalla connessione all’immagine: quando Kojima parla, Shinkawa disegna

Da qui la conversazione si è spostata sul rapporto creativo tra Kojima e Yoji Shinkawa. Dopo così tanti anni di collaborazione, è stato chiesto a Shinkawa come sia possibile mantenere una tale coerenza tra la sua visione artistica e la narrazione e il tono dei giochi del Maestro Kojima.

L’artista ha spiegato che ogni loro progetto inizia sempre nello stesso modo: con una parola di Kojima. Una singola parola chiave, un’immagine concettuale che diventa il primo punto fermo. A volte servono ulteriori spiegazioni, certo, ma proprio quella parola iniziale gli dà la direzione giusta: se dovesse mettersi a disegnare “a freddo”, senza un punto di partenza, sarebbe molto più difficile. Così, parte da quella suggestione, guarda, riflette, poi inizia a disegnare e a dare vita all’illustrazione.

In seguito è stato chiesto a Shinkawa, riguardo al modo di lavorare fianco a fianco a Kojima da così tanti anni, se capita ancora che si sorprendano a vicenda. Shinkawa racconta che ogni volta che inizia un nuovo titolo, c’è un forte entusiasmo e non solo per lui: si sorprende insieme a Kojima nel momento in cui vede il progetto prendere forma.

Con il seguito di Death Stranding, la missione era chiara: superare il primo capitolo. Kojima porta sempre idee nuove, diverse, spesso imprevedibili. L’artista lavora anche con altri director, ma spiega che con Kojima il processo è unico: presentare un’idea visiva, vedere come si trasforma, quanto cambia nel tempo, è una sfida continua e stimolante.

A volte capita di cambiare design più e più volte prima di arrivare alla versione definitiva. Ed è proprio questo dialogo creativo, questo scambio costante, a rendere la loro collaborazione qualcosa di speciale, unico e irripetibile.

Death Stranding 2 – la responsabilità della connessione: tra libertà e controllo

Tornando a Kojima, il tema è nuovamente quello della connessione, questa volta però la chiave di lettura è la contrapposizione che c’è tra il primo e il secondo titolo. In Death Stranding il messaggio era chiaro: “Dobbiamo connetterci”. In Death Stranding 2, invece, la domanda cambia: “Avremmo dovuto connetterci?”. Gli è stato chiesto quanto voglia che i giocatori si sentano responsabili, non solo come spettatori della storia, ma come interpreti del suo messaggio e quali strumenti abbia usato per rendere questa responsabilità qualcosa di concreto nel gioco.

Per il game designer, la connessione resta un elemento fondamentale, esattamente come l’aveva definita nel primo capitolo, ma è impossibile ignorare il mondo di oggi e le trasformazioni che stiamo vivendo. Per farci comprendere meglio, un esempio preciso: in Death Stranding 1 quando il giocatore incontra il personaggio “The Elder” (l’Anziano) si “collega” a lui.

Poi però, presi dalla voglia di proseguire nella trama, molti dimenticano le missioni di consegna a lui dedicate, smettono di portargli le medicine e, quando tornano in una fase più avanzata del gioco, lo trovano morto. Quel legame è perso per sempre. Ecco, questo è un esempio perfetto di responsabilità nata da una connessione: un vincolo che non è solo “meccanica di gioco”, ma qualcosa su cui Kojima vuole spingere le persone a riflettere.

Pochi mesi dopo l’uscita del primo Death Stranding è arrivata la pandemia, e in Giappone la situazione è stata particolarmente dura: non si poteva uscire, tutto si è fermato. “Fortunatamente abbiamo resistito grazie ad internet”, racconta: ordinare cose, vedersi, lavorare a distanza, fare perfino concerti in remoto. Ma proprio lì è nata una domanda: “è davvero sufficiente fare tutto da remoto?”

Il Maestro ha ampliato il discorso affermando che esseri umani e animali si sono sempre evoluti grazie al viaggio. Gli animali sono nati nell’oceano e poi sono arrivati sulla terraferma; noi umani siamo nati in Africa e abbiamo viaggiato, costruendo culture diverse nel mondo.

Se tutta questa spinta al movimento viene sostituita da una sola realtà digitale, il Metaverso, come unica dimensione possibile allora stiamo andando incontro verso un rischio.Anche il logo del gioco nasconde un messaggio: a differenza del primo, gli “strand” che partono dal titolo non scendono più verso il basso, ma salgono verso l’alto, come fili di marionette.

Un’immagine, una metafora di manipolazione che torna anche in personaggi come Dollman o Higgs. Se internet fosse totalmente controllato, perderemmo privacy e libertà, rischieremmo di essere manipolati senza accorgercene. E a suo avviso, non si tratta della direzione giusta. Per tale  motivo si tratta di uno dei temi principali che Kojima ha voluto inserire in Death Stranding 2.

Foto fornita da Lucca Comics & Games

Successivamente è stata posta una domanda a Kojima sul game design: è stato chiesto come, partendo da un primo capitolo densissimo di esplorazione, gameplay, costruzione di strumenti, mappe, reazioni del mondo di gioco, connessione tra giocatori e lore abbia scelto su cosa concentrarsi per costruire Death Stranding 2.

Kojima ha raccontato che il concept non è nato da un test preliminare, ma si è evoluto sulla base dei risultati del primo gioco. L’obiettivo era collegare i due capitoli proponendo però un’esperienza diversa. In passato, con Metal Gear Solid, ogni sequel cambiava drasticamente design di gioco, pur mantenendo alcuni elementi chiave. Death Stranding 2, invece, è un sequel più diretto, ma non per questo meno coraggioso: gli elementi più amati del primo capitolo sono stati preservati e ampliati, al fine di rendere felici i fan.

In aggiunta, il Maestro si è reso conto che molti giocatori non erano riusciti a completare il primo gioco, spesso per via delle sezioni più dure, come le montagne innevate. Questo lo ha portato a interrogarsi su come rendere l’esperienza più accessibile senza cambiare il core di gioco, allargando il pubblico che poteva amare Death Stranding. Alla fine, vedere quante persone hanno giocato a Death Stranding 2 più del primo capitolo è per lui la prova di aver centrato il bersaglio.

A questo punto arriva la domanda firmata Amerigo Cirelli di Player.it:

Nel gioco, il “like” funziona come una valuta sociale: si riceve dagli altri giocatori ma non può essere spesa come le altre risorse. In fase di sviluppo avete mai valutato la possibilità di renderla una risorsa effettivamente spendibile, o l’idea è sempre stata quella di mantenerla simbolica, come forma di riconoscimento e non di scambio?

La risposta del maestro non ha deluso le nostre aspettative:

No, non ho voluto che i “like” diventassero risorse spendibili come denaro o crediti, perché avrebbe cambiato completamente il design del gioco. I like sono un modo per esprimere il proprio sentimento, costruendo un ambiente positivo nel gioco. Questo sistema è stato un argomento di confronto tra gli sviluppatori, ma abbiamo deciso di mantenere solo le cose positive senza elementi negativi o competitivi. Molti giocatori di Death Stranding apprezzano questo sistema, quindi non ho mai voluto modificarlo.”

Echi tra mondi: la musica come linguaggio di Death Stranding

Un elemento che ha differenziato come pochi titoli Death Stranding è la musica e l’uso che ne viene fatto. A Kojima è stato chiesto se la colonna sonora sia, per lui, una vera e propria lingua narrativa a sé, e in che modo e quando decide di  far partire una canzone: se si tratta di una scelta emozionale, tecnica o istintiva.

Il Maestro racconta che nei suoi giochi ha sempre cercato di creare un’esperienza vicina a quella cinematografica. Tutte le canzoni che compaiono nelle cutscene hanno una funzione precisa: evocare emozioni o sostenere la narrazione. Ama la musica e collabora con molti artisti diversi. Spesso, a istinto, pensa: “Ok, questa musica deve essere inserita qui” oppure “Dipende dal ritmo di questa scena”. Da lì decide dove e come collocare i brani.

Quando si sente particolarmente ispirato, contatta direttamente gli artisti, spiega le sue idee e costruisce con loro una collaborazione. A volte nascono canzoni completamente nuove, scritte apposta per il gioco: gli artisti vengono guidati su cosa comporre e dove inserire i pezzi, lavorando fianco a fianco per creare qualcosa che funzioni con le immagini. La colonna sonora di Death Stranding 2 è stata costruita in circa quattro anni di lavoro, un vero e proprio racconto musicale che accompagna quello narrativo.

Parlando della collaborazione con Woodkid, Kojima racconta di aver scoperto una forte affinità di pensiero e sensibilità. L’artista francese è passato più volte in studio e ha iniziato a creare musica sul posto; per Hideo il suo modo di lavorare assomiglia molto a quello di Yoji Shinkawa.

Dopo una prima chiacchierata, il giorno successivo Yohan (il nome di Woodkid) aveva già una base molto avanzata. Da lì sono partiti ascolti, revisioni, modifiche ai temi, cambi di arrangiamento. Questo modo “speciale” di lavorare alla musica si è rivelato perfetto per Death Stranding 2, nel quale le canzoni di Woodkid accompagnano alcune delle scene più potenti del gioco.

Un altro tassello emotivo fondamentale sono i Low Roar. Kojima racconta che, mentre cercava di contattarli per coinvolgerli nuovamente nel sequel, ha ricevuto la notizia della morte di Ryan Karazija. In seguito ha ricevuto materiale inedito della band, brani non ancora pubblicati. Alcune di queste canzoni sono finite in Death Stranding 2. Kojima afferma che i Low Roar sono parte essenziale dell’identità di Death Stranding.

E a proposito di musica: al Maestro è stato chiesto di un suo amore dichiarato: i Joy Division. Li ascolta da sempre, ma hanno o avranno mai un ruolo diretto nei suoi giochi?Lui sorride e ammette di amare il gruppo, e di vedere quanto anche molte altre persone li amino (infatti il pubblico in sala reagisce con applausi).

Tuttavia spiega che non li inserirà in Death Stranding perché, a suo avviso, non si sposano bene con il worldbuilding della serie. Quella dei Joy Division è una musica che appartiene alla sua storia personale: li ascolta da quando era bambino, da quando suo padre è venuto a mancare, e quelle canzoni lo hanno aiutato molto. Per questo continua ad ascoltarli ancora oggi.

Shinkawa e Kojima raccontano la genesi del “Magellan Man”

Una domanda che è stata fatta a Shinkawa è quella di parlare di un personaggio o design di Death Stranding 2 di cui va più orgoglioso.

L’art director cita il “Magellan Man”: a vederlo nel gioco, sembra una creatura pensata così fin dall’inizio, ma in realtà non è andata affatto così. All’inizio, per il sequel, c’era l’esigenza di creare nuove creature arenate. Durante lo sviluppo della scena di climax, Kojima gli ha chiesto di “collegare tutto insieme”.

Hanno provato, e il risultato ha funzionato. Guardando il risultato finale, anche loro due sono rimasti sorpresi: sembra un design pianificato dall’inizio, ma in realtà è frutto di un’evoluzione in corso d’opera. Proprio per questo, dice Shinkawa, sente che è un personaggio con una forte identità.

Kojima interviene per aggiungere qualche dettaglio: racconta che durante la pandemia lui e Shinkawa si incontravano circa due volte a settimana per discutere di questi temi. Gli aveva chiesto di creare un design per la Magellan: Shinkawa gli aveva portato una cinquantina di proposte, molte delle quali somigliavano più a sottomarini che a quello che aveva in mente. Kojima cercava qualcosa di più piccolo, quasi “micro”, ispirato al film Il viaggio fantastico.

A un certo punto Shinkawa disegna un modello molto piccolo che ricorda il Rex di Metal Gear Solid: Kojima se ne innamora immediatamente. In parallelo, avevano già la grande creatura arenata del primo Death Stranding, che però non aveva una testa. L’idea è stata praticamente immediata: collegare quella creatura al design che ricordava il Rex. Il risultato è un personaggio visivamente impressionante.

Fragile, il personaggio di Death Stranding 2 più amato da Hideo Kojima

L’ultima domanda è rivolta a Kojima e riguarda i suoi personaggi preferiti, escludendo, ovviamente, Sam il protagonista. Qui in Italia, è stato fatto notare con ironia che esiste una certa “preferenza” per Neil Vana, interpretato da Luca Marinelli.

Il Maestro parte proprio da lì: in Death Stranding c’era Cliff, interpretato da Mads Mikkelsen, amatissimo dal pubblico. Tuttavia nel primo gioco il personaggio muore. Così ha deciso di raccontare un personaggio che potesse, in qualche modo, superarlo. È nato Neil, e da subito gli è stato chiaro che serviva un attore all’altezza, qualcuno che potesse reggere il confronto con Mads. Marinelli, racconta, era da tempo uno dei suoi talenti preferiti e lavorare con lui lo ha affascinato molto: per questo ha voluto coinvolgerlo.

Detto questo, uno dei suoi personaggi preferiti in assoluto resta Fragile. Pur essendo Sam il protagonista, Fragile incarna una delle dimensioni più profonde di Death Stranding 2. Con Léa Seydoux hanno lavorato tantissimo sul livello tecnologico del video capturing, definendo meglio le linee del volto, movimenti, espressività, per rendere il personaggio più naturale e realistico possibile. Kojima adora Fragile, e riconosce a Léa un impegno enorme nel ruolo. Ha persino chiesto a Woodkid di creare una canzone dedicata a lei. Fragile, dice senza esitazioni, è il suo personaggio preferito.


L’intervista si è conclusa con una foto di gruppo, culmine di un momento indimenticabile per me e molti altri reporter e critici videoludici.

Foto fornita da Lucca Comics & Games

Gli eventi aperti al pubblico: il documentario e l’incontro con gli attori Luca Marinelli e Alissa Jung

Oltre all’intervista stampa, Kojima è stato protagonista anche di altri due eventi accessibili tramite voucher, entrambi moderati da Eva Carducci.

Il 1° novembre al Cinema Moderno, è stata la proiezione del documentario Hideo Kojima: Connecting Worlds, presentato per la prima volta in Italia e seguita da un breve Q&A con il Maestro.

E poi il 2 novembre, è stato invece il turno del panel Death Stranding 2: On the Beach, dove Kojima è salito sul palco insieme a Luca Marinelli e Alissa Jung per raccontare al pubblico come è nato il nuovo capitolo e condividere alcune riflessioni sul futuro della connessione umana e del medium videoludico.

Il film Hideo Kojima: Connecting Worlds, proiettato in versione sottotitolata in italiano, segue il game designer nel momento più delicato e forse più difficile della sua carriera: la nascita della nuova Kojima Productions nel 2015, subito dopo la separazione dal suo vecchio studio. L’inizio di un nuovo viaggio, nuovo modo di intendere la creazione e di costruire mondi videoludici. Tra sequenze di lavoro nello studio situato a Tokyo e scene di vita quotidiana si percepisce il contrasto tra la libertà creativa e gli oneri che derivano da uno studio indipendente.

Il docufilm non parla solo di Death Stranding, ma di connessioni che uniscono le persone, l’arte e la cultura. A testimoniare ciò è il fatto che il documentario è raccontato da amici e colleghi di Kojima come Norman Reedus, Guillermo del Toro, Nicolas Winding Refn, George Miller e Woodkid. Durante la proiezione, oltre alle sequenze filmate, ci sono sequenze animate, che raccontano l’infanzia, la perdita, la solitudine e la passione per i film, i libri e videogiochi di Kojima. 

La regia mantiene lo sguardo contemplativo e ipnotico tipico delle opere del Maestro. Ogni inquadratura sembra un ponte o una rete [chirale] che unisce persone, idee, emozioni. È un film pensato principalmente per chi conosce Kojima e i suoi videogiochi che permette al pubblico di vedere il mondo secondo la sua filosofia.

Il giorno successivo alla proiezione del film Lucca ha accolto nuovamente il Maestro sul palco, questa volta insieme a Luca Marinelli e Alissa Jung per il panel Death Stranding 2: On the Beach.

È stato un incontro vivo, pieno di energia, riflessioni ma anche ironia. Kojima ha parlato della nascita di Death Stranding 2 durante il Covid: uffici vuoti, sessioni da remoto, un mondo frammentato che si riflette nel tema centrale del sequel: la connessione umana. “Online possiamo sentirci vicini,” ha spiegato Kojima, “ma per capire davvero qualcuno servono i sensi: la voce, l’odore, la temperatura di chi ti sta accanto.”Da lì il focus è passato sul cast. Kojima ha spiegato di aver scelto Luca Marinelli per Neil dopo averlo visto in Martin Eden: cercava un personaggio capace di superare Cliff, più fragile ma più potente, insomma, più umano.

Marinelli, con la sua consueta ironia, ha raccontato di aver pensato a uno scherzo quando ha ricevuto la chiamata. Accanto a lui, Alissa Jung, interprete di Lucy, ha parlato di un personaggio “costruito sull’amore assoluto”, e di come la recitazione in motion capture l’abbia costretta a cercare emozioni vere in uno spazio vuoto, immaginando tutto. L’esperienza della motion capture le è stata molto utile anche per imparare nel ruolo di regista. Durante l’incontro è stata mostrata una scena inedita del backstage in motion capture, il primo incontro tra Neil e Lucy.

Frame estrapolato da un video fornito da Lucca Comics & Games

Il panel è proseguito con una profonda riflessione sul ruolo dei videogiochi e sul valore della libertà creativa destinata, a mio avviso, a diventare un pezzo di storia. Kojima ha parlato direttamente ai giovani fan presenti, ricordando come, quando era un ragazzo, fosse impossibile creare in modo autonomo:

“All’epoca dovevi lavorare per un’azienda, perché non avevamo a disposizione strumenti ed era impossibile lavorare da soli. […] Tuttavia se sei in un’azienda ci sono regole che devi seguire. Quindi non puoi esprimerti al cento per cento.”

Al giorno d’oggi, nell’era di internet chiunque può creare:

“Oggi, in una società digitale, tutti hanno una videocamera, un cellulare con cui filmare film ed editare, un motore grafico da scaricare, un software con cui fare effetti speciali e computer grafica” […] Puoi creare il tuo gioco o il tuo film. […] Quando ero giovane […] se scrivevi un libro dovevi negoziare con un editore o vincere un premio. Oggi lo puoi creare, lo puoi mettere online e può leggerlo tutto il mondo. […] Puoi dire: sono qui, ho creato questo.”

Kojima ha poi continuato il discorso con una frase potentissima: “Se volete creare qualcosa, create. E poi annunciatelo, presentatelo. Connettetevi con il mondo!” Essere lì presente, ascoltare queste parole è stato davvero incredibile. Un qualcosa che ha ispirato tutti i presenti che hanno accolto questa dichiarazione con un grande applauso. Marinelli ha chiuso definendo Neil “un uomo che agisce per amore, non per eroismo”.Ma non è ancora finita: Hideo Kojima e Yoji Shinkawa sono tornati sul palco insieme per firmare, “con le mani”, la Walk of Fame di Lucca Comics. Un gesto simbolico di connessione che unisce le culture di Italia e Giappone

Frame estrapolato da un video fornito da Lucca Comics & Games

Voglio concludere con un ringraziamento a Lucca Comics & Games per questa esperienza indimenticabile, che mi ha permesso di incontrare ancora una volta il Maestro Kojima e Yoji Shinkawa, ma anche di ritrovare tante persone che, in modi diversi, fanno parte di questo grande percorso condiviso.

Come in Death Stranding, ognuno di noi ha tracciato il proprio cammino per arrivare qui: giornalisti (colleghi di Player.it e altre testate), content creator o, semplicemente, amici. Tutte strade diverse che, per un momento, si sono intrecciate nello stesso luogo, con lo stesso scopo: connetterci. E dopotutto, è proprio questo il messaggio che Kojima continua a lasciarci: anche quando camminiamo da soli, non lo siamo mai davvero.


This post was published on 4 Novembre 2025 21:00

Amerigo "ilCirox" Cirelli

Sono nato nel 1995, gioco ai videogiochi da quando ne ho memoria. Più che una passione, per me il videogioco è un medium capace non solo di intrattenere ma, vista la sua natura interattiva, di creare vere e proprie esperienze. Per questo motivo, dopo un'adolescenza passata a videogiocare ho deciso di iniziare a scriverne. Attualmente sono impegnato negli studi giuridici-economici, scrivo su Player.it dal 2018 e gestisco la famosa pagina di meme "ilCirox" su Facebook ed altri social network dal 2015.

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